mercoledì 31 agosto 2022

FERNANDO

Fernando aveva preso la casa delle vacanze proprio davanti a quella di Riccardo. Fecero subito
amicizia avendo più o meno la stessa età: intorno ai 13 anni. Erano tutti e due muniti di biciclette,
Fernando propose a Riccardo di riverniciare di nero la sua Saltafoss verde smeraldo e così
fu, con disappunto dei genitori di Riccardo. Un giorno glorioso decisero di salire sopra una
montagna con le biciclette, portandosi uno zaino con dentro dei panini, era estate ed erano
felici. Ci misero 5 ore per salire e venti minuti per scendere e Riccardo rischiò pure di
rompersi l'osso del collo. In salita scesero di bicicletta spesso, i panini erano buonissimi.
Fernando era fico, biondo col ciuffo, snello, una fresca risata e un angioma sulla guancia,
era un intrico di vene sul volto e la guancia era gonfia, ma stava benissimo, era bello il
mio amico Fernando. Aveva un papà fico come lui, alto, magro, scattante, occhi grigi,
mi salvò dalla corrente del mare acciuffandomi per i capelli, ora non potrebbe più salvarmi,
non ho più i capelli. Anche un'altra volta fu provvidenziale il suo intervento, forse era
un angelo. Io e Fernando eravamo andati al Luna Park del Cinquale, e agli autoscontri
ci eravamo presi con due teppistelli, uno grande e grosso e l'altro piccoletto e tignoso.
"Vediamoci dietro le giostre fra qualche minuto e facciamo a botte" ci dissero. Ok.
Perché no? Arriviamo, è notte inoltrata, loro sono a venti metri di distanza, il grande a
destra e quello piccoletto a sinistra, e io sarò sempre grato a Fernando di avermi fatto
stare a sinistra, con il piccoletto, mi disse "non preoccuparti, quello grosso lo prendo
io" e si tirò su il ciuffo biondo con un colpo della testa...il mio eroe, il mio amico.
Sembrava la scena di un duello western, iniziammo a fare i primi passi quando una
mano ci afferrò per le spalle, era il papà di Fernando! "Ma che cosa state combinando?".
Chissà come sarebbe andata a finire, non lo saprò mai. Ma so che mi manca il mio
amico Fernando. Non so più nulla di lui. E suo padre? Sarà morto il mio angelo?


PIPPO PILLINO

Pippo Pillino era un uomo tranquillo, come un film di John Ford. Amava fare la spesa, palpare la frutta,
la sua vera attività erotica era palpare la frutta per l'appunto, quasi quasi gli nasceva un'erezione, con
le pere soprattutto. Amava l'odore del pane appena sfornato e passava molto del suo tempo nelle
cartolerie, gli piaceva quell'odore di scuola e infanzia. Era scapolo, in pensione, e come dicevamo
un uomo tranquillo, con un solo grillo nella testa, uno solo: rintracciare la supplente Bruscolini.
Dovete sapere che alle medie Pippo fu traviato per un certo periodo da un certo Fabio Zappi, un
tipaccio grande e grosso che lo portava sulla cattiva strada. Una mattina venne a fare supplenza
di italiano una dolcissima signora che si chiamava Anna Bruscolini. La supplente propose alla
classe un tema: racconto la mia giornata. Pippo amava i temi, aveva una certa fantasia e gli piaceva
raccontarsi. Fabio Zappi lo costrinse a fare una cosa orribile, "senti Pippo, ora tu inizi il tuo tema
in modo semplice, poi alla fine scrivi che ti fai le seghe pensando a tua madre" "ma cosa dici Fabio?"
"dài che ci divertiamo e poi leggi il tuo tema ad alta voce e vediamo l'espressione che fa questa
idiota di supplente" "ma no Fabio, non posso, sarebbe imbarazzante" "tu lo devi fare, non siamo
forse amici?". Pippo Pillino non aveva abbastanza carattere per opporsi e scrisse quello che gli
aveva ordinato il suo amico. "Chi vuole leggere alla classe il proprio tema?", disse la dolce
Anna Bruscolini e Fabio Zappi alzò la mano "no, non io, il mio compagno di banco è il primo
della classe signora professoressa, ma è timido, gli faccia leggere il suo tema". Pippo iniziò
a leggere tutto rosso in faccia "la mia giornata è ricca di cose da fare, la colazione è uno dei
momenti più belli, la mamma mi prepara il caffelatte con i biscotti, poi vado a lavarmi e mi
preparo per andare a scuola, imparare cose nuove è bellissimo e mi fa sentire fresco, fresco
nella mente, poi quando torno a casa...quando torno a casa..." "molto bene Pillino, quando
torna a casa che cosa fa?" chiese incuriosita la Bruscolini, "quando torno a casa vado in bagno
e mi faccio una sega pensando a mia madre", lo disse tutto d'un fiato, l'espressione della
Bruscolini cambiò, il sorriso le si spense sulle labbra, Fabio Zappi se la ghignava di brutto,
Pippo Pillino scoppiò a piangere, anche la Bruscolini, piansero contemporaneamente, lasciando
la classe di stucco, mentre Fabio Zappi continuava a ghignare. La Bruscolini si assentò dalla
classe, tornò dopo dieci minuti, e fece finta di nulla, quella mancata reazione fu più atroce
di una reprimenda per Pippo Pillino. Il mancato rimprovero lo segnò per sempre. Non vide
più la Bruscolini, non seppe più nulla di lei, ma da quel giorno nella sua mente ci fu il
proposito di chiederle scusa dal profondo del cuore. Passarono gli anni ma Pippo cercò
sempre di rintracciare la supplente, si avvalse anche della professionalità di un investigatore
privato, ma niente da fare, la Bruscolini sembrava sparita dal mondo. Finalmente un
giorno Pillino venne a sapere che Anna Bruscolini era deceduta, scoprì il cimitero dove
era stata sepolta, andò sulla sua lapide, la foto della dolce Anna Bruscolini lo commosse
e ancora pianse pensando a quell'episodio vergognoso della sua giovinezza. Fece qualche
passo verso l'uscita quando l'occhio gli cadde su un'altra lapide, a pochi passi dalla tomba
della Bruscolini, riconobbe Fabio Zappi, ne era convinto, la data di nascita corrispondeva
e quel muso arrogante era proprio il muso di Zappi. Sulla lapide di Zappi c'era questo
acrostico:

Siamo
Una manciata di
Cenere:
Amiamoci.



L'ESAURITO

Valter Giacomelli era un uomo che si incazzava tantissimo, anzi: super tantissimo. Il dottore parlò
di esaurimento nervoso e Valter si incazzò tantissimo "cazzo dice? io sono inesauribile, esaurito lo
dirà a sua sorella, ha capito?". Chissà perché si tira sempre in ballo la sorella di qualcuno! Si era
lasciato da poco con la sua fidanzata storica, Ginevra gli aveva detto una mattina "sei diventato
intrattabile, se non ho voglia di fare sesso tutti i santi giorni mi urli contro, se saluto un amico mi
mi dici che sono una troia potenziale, insomma, basta, basta,basta, ti lascio con tre basta!" "ma io
sono sempre stato così, sono sempre stato un tipo incazzoso, lo scopri adesso?" "è vero, ma prima
ti amavo e quando si ama i difetti non pesano, ora non ti amo più e quindi non ti sopporto più".
Era il periodo più brutto della sua vita, si sentiva solo come un cane e abbaiava a tutte le donne.
E si incazzava tantissimo. Anche con l'amico macellaio che lo serviva da anni, persino con il
parrucchiere gay (lo so, è uno stereotipo) "mi hai fatto un taglio del cazzo questa volta, sarà
perché ti piace il cazzo eh?". Riuscì a portarsi a casa una tipa dopo averla abbordata in un bar
con la frase "ciao, sono Valter Giacomelli, hai degli occhi che sono fanali nella notte della mia
anima", e la stupidotta la trovò una frase poetica. Lui abbassò le luci, baciò la stupidotta e poi
subito una mano sotto la gonna fino a scostare le mutandine, due dita dentro e la trovò secca,
arida come il deserto. "Come cazzo fai a non essere bagnata? Ma ce l'hai con me? Vuoi forse
offendermi? Stronzetta arida!" e la stupidotta scoppiò a piangere, fine della serata. Valter
Giacomelli non era felice, si rendeva conto di essere troppo incazzoso, così andò da uno
specialista della psiche. "Lei soffre di turbe narcisistiche, deve dimenticarsi, lei è troppo
ingombrante a se stesso, pensi ad altro: alle zucchine, alla pietre, agli involtini primavera,
ma la smetta di pensare a se stesso e di mettere il suo io ipertrofico davanti a tutto, lei deve
iniziare a pensarsi lateralmente, mettersi a lato, mi capisce signor Giacomelli?" "ci proverò".
Iniziò a ripensare alla sua storia con Ginevra, cercò di analizzare i propri errori, forse non
aveva mai visto veramente il volto della sua donna, troppo preso a specchiarsi, a contemplare
la propria immagine, pietrificato dal proprio io riflesso. Decise di coprire tutti gli specchi 
di casa. Quando camminava per strada cercava di ignorare i pensieri legati alla propria vita
e provava a sciogliersi in un abbandono panteistico, immedesimandosi negli oggetti, negli
altri, tuffando la propria mente nell'azzurro del cielo, facendola violentare dalle nuvole.
"Devo sentire scorrere il sangue nel corpo degli altri, devo sentire la musica del sangue,
devo immaginare il cuore degli altri, sentirlo battere, gli altri esistono, non ci sono solo io
in questa cazzo di vita". Tornò dal parrucchiere gay, gli chiese scusa "tagliami i capelli
come desideri, andrà bene qualsiasi cosa e perdonami per l'altra volta". Il parrucchiere
gay si commosse e si abbracciarono. Ed ecco in sequenza che cosa gli capitò: Valter
Giacomelli e il parrucchiere gay si innamorarono, si sposarono, affittarono un utero in
Guatemala e chiamarono loro figlio Guatemalteco. Guatemalteco era un bambino sano,
bello, simpatico ma irascibile. Molto irascibile. Molto incazzuso. Allora Valter ebbe una
crisi di identità ancora più forte e lasciò il parrucchiere gay e Guatemalteco. Si trasferì
in Marocco. Qui cambiò sesso e cambiò nome, diventò Valterina Giacomelli. E come
donna finalmente poteva essere incazzusa e isterica senza provare sensi di colpa e senza
sentirsi un malato psichico, la gente diceva "nulla di grave, sono solo isterie uterine".

martedì 30 agosto 2022

SFILACCI DI EQUINO

Alla cassa della Conad faccio passare avanti una signora che ha pochissime cose in mano.
Lei mi ringrazia con gentilezza energica. Getto l'occhio e noto che ha comprato sfilacci di
equino. Mi viene un colpo, mai sentita questa orribile espressione, mi immagino il nobile
cavallo (un animale che vanta le gambe e non le zampe) tutto sfilacciato! Nausea. Come
fa certa gente a mangiare il cavallo? Io sono un carnivoro selettivo: non mangio capretti,
cinghiali, conigli, piccioni, agnelli, ma soprattutto non mi sognerei mai e poi mai di divorare
un cavallo, cristo! Sarà il mio amore per i film western ma mi sembrerebbe blasfemia pura.
Il cavallo è una divinità, è uno degli animali più belli del Creato, non si deve mangiare la
bellezza, la bellezza si adora! Purtroppo nella realtà sono stato zitto, non ho detto niente
a quel mostro, a quella donna bruttissima, ma come ti permetti di mangiare una creatura
che è molto più bella di te? Mostro! Sì, così avrei voluto dire a quella donna, ma niente,
muto, sono stato muto e l'ho fissata con disprezzo e odio mentre pagava e poi mi rivolgeva
un ultimo ringraziamento: "grazie signore, grazie ancora per la sua gentilezza". Fottiti. 

DONNE CHE PARLANO DI UOMINI

Erano un gruppetto di amiche affiatate e amavano parlare di uomini dopo avere fatto la lezione
di ballo in una palestra molto chic della città. "A me piacciono con la pancetta, mi dà sicurezza
la pancetta e poi la trovo molto sexy" "no, per carità, se devo tradire mio marito ne voglio uno
in forma come il maestro di ballo, niente pancetta ma addominali e poi una bella prestazione
senza sentire che arrancano dopo dieci minuti" "io non sopporto quegli uomini che ti dicono
dopo -ti è piaciuto?-, ma come, cretinetti? Non l'hai capito scopandomi se mi è piaciuto?" e
tutte giù a ridere e a bere i loro cocktails. "Sentite questa, mi sono fatta uno l'altra sera che mi
diceva che mi avrebbe fatta impazzire, quando gli tiro giù le mutande aveva un cazzetto, ma
di quei cazzetti senza speranza, e sapete che cosa mi ha detto per uscire dall'imbarazzo?
Mi fa "sai, sono molto ricercato come apripista anale". E giù a ridere di questi uomini! E
a bere, bere, fino a ubriacarsi. "Io mi sono innamorata di uno che però ha l'alito cattivo
poverino, e allora mi faccio scopare sempre a pecorina!" Ahahahahah. E giù a ridere in
modo sguaiato. "Voi non ci crederete, ma io sto con uno che mi ha detto che gli ricordo
sua mamma, vi giuro, non fa altro che succhiarmi le tette come un bambino". "Io sono
fortunata, sto con un cuckold, se non mi scopo almeno un uomo al mese ci resta male,
lui si mette seduto sul divano e si fa una sega vedendomi godere". "Io sono stata assieme
con uno obeso, non era brutto, ma era un ciccione, aveva comunque una certa classe,
e quando tirava fuori il portafoglio lo vedevo bellissimo e magrissimo!". Che risate!
"A me piacciono colti, intellettuali, devono scoparmi il cervello prima e poi la fica"
"Ah, no, no, a me del cervello non frega niente, mi interessa un bel cazzo, cara mia".
"Guardate questo camerierino, non è un amore?" "Ma potrebbe essere tuo figlio!"
"E allora? Hai qualcosa contro l'incesto?". Altre risate, tante risate fino all'orario di
chiusura del loro locale preferito che stava proprio a due passi dalla palestra chic.
Erano tutte donne di mezza età, tutte carine allo stesso modo, tutte stronzette, ma in
fondo adorabili. La stagione dell'amore era finita per fortuna, ora c'era solo da divertirsi.

IL BAMBINO FELICE

Il figlio disse alla mamma puttana: "Mamma, sono contento che tu sia una puttana, 
così quando i compagni di scuola mi dicono "figlio di puttana" io non mi arrabbio
perché dicono solo la verità, e la verità è una cosa buona e giusta, è il vero sentiero,
sono le bugie che mi fanno arrabbiare e non le verità, ti ringrazio mamma di essere una puttana,
di fare felici quegli uomini che le mogli non amano più, il tuo lavoro è fondamentale, senza di
te, senza il sollievo della tua bocca e del tuo culo, molti mariti avrebbero già abbandonato quelle
mogli addomesticate con cui si ritrovano a convivere!" "Figlio mio, guarda che anche i mariti ci
mettono il loro carico, ingrassano, invecchiano anche lì, il cazzo è barzotto, non dedicano più
le giuste attenzioni, non corteggiano più la loro sposa, la trattano come una sorta di cameriera"
"Mamma, ma allora il matrimonio è una cosa terribile e disgustosa" "Non tanto il matrimonio
figlio mio, è la convivenza che distrugge tutto, si appassisce assieme, senza rendersene conto
e questo forse è l'unico vantaggio di vivere nella stessa casa, la cosa terribile è l'erotismo che
viene tramortito dalla quotidianità, dalle beghe di ogni giorno, e poi quella cosa tremenda che
è il lavoro, si torna a casa spossati, senza energia, si pensa solo alla cena e a farsi una bella
dormita" "Mammina cara, quindi tradirsi è un atto di amore, di fedeltà in un certo senso, mi
sembra di capire" "Certo amore, quegli uomini e quelle donne che non tradiscono sono esseri
ormai svuotati, senza più energia, involucri vuoti, manichini della routine, pronti per la morte"
" Mamma puttana, io non vorrò mai diventare una cosa pronta per la morte, io voglio essere
sempre vivo" "E lo sarai figlio mio, basta volerlo, basta non arrendersi mai, io e tuo padre
siamo felici, lui scopa con chi vuole e anche io, per me fare la puttana è un piacere, conosco
tantissimi cazzi, e i cazzi sono straordinari, alcuni sono scultorei, altri dei fagottini, alcuni
hanno cappelle perfette, rinascimentali, altri cappelle a peperone o a pomodoro, alcuni sono
storti, altri dritti, certi cazzi puzzano di cazzo, altri di lavanda, conoscere i cazzi è come
conoscere la varietà della vita, e ti aiuta ad amare la diversità e a essere tollerante".
Il figlio abbracciò la mamma puttana con infinita tenerezza, quando i compagni di scuola
gli dicevano "figlio di puttana" lui sorrideva sereno perché era un bambino felice.

CANE E GATTO

Tommy odiava il bibliotecario barbuto della Sormani di Milano, faceva anche lui il filo 
a Elisabetta, come osava quel mingherlino barbuto competere con Tommy il fusto?
Elisabetta, la più bella tettona della Statale, era sorridente, tettona e scriveva poesie. Tommy aveva
sempre avuto un debole per le ragazze dai capelli ricci ed Elisabetta era tutta ricci e tutta tette,
una combinazione fatale per lui, ne era innamorato con i testicoli e tutto il cuore. Elisabetta era
strana, una volta gli aveva fatto trovare nella tasca della giacca una cartolina con un dipinto di Mirò,
e dietro aveva scritto semplicemente "quando", senza punto di domanda. Quel quando senza
punto di domanda nella testa di Tommy significava "quando scopiamo?", e l'assenza del cavalluccio
marino dell'ortografia per lui era la volontà di scopare senza esitazioni. Un'altra volta Tommy era
in macchina con Elisabetta, le fece un complimento e lei rispose "queste cose dovresti dirmele
senza strada". Senza punti di domanda e senza strada, ma tante tette, tantissime tette, ed erano
solo due, incredibile! Che ragazza strana questa Elisabetta, Tommy ne era intrigato! Una sera
Elisabetta invitò Tommy a casa di suoi amici e trovò anche il rivale: il bibliotecario barbuto.
Il barbuto a fine serata si divertì a infierire contro i cani "i cani sono borghesi, padronali, difendono
la casa, la proprietà, e poi sono addomesticati, guinzagliati, mentre i gatti sono creature
enigmatiche, inafferrabili, "inguinzagliabili", non c'è paragone, e chi ama i cani è solo un
frustrato che vuole dominare il prossimo, chi ama i gatti invece lotterà sempre per la libertà".
Elisabetta applaudì, era d'accordo con quello stronzo di un barbuto. Tommy avrebbe voluto
rispondere "ma che cazzo dici barbuto? Il cane ti è amico, ti salva la vita, si butta nelle fiamme
insieme a te, si rotola nel fango insieme a te, ed è tremila volte più simpatico di quegli stronzetti
di felini che ci stanno proprio bene nei film horror". Così avrebbe voluto dire in faccia al
maledetto barbuto comunistoide, ma Tommy stette zitto e subì quell'umiliazione profonda.
Venne finalmente il giorno in cui Elisabetta lo invitò a cena (il famoso quando senza punto
di domanda), e Tommy pensava che ormai era fatta, Elisabetta sarebbe finita tra le sue braccia
e i suoi testicoli, alla faccia del barbuto bibliotecario. Elisabetta gli preparò una bistecca al
sangue, e anche quello gli sembrò di buon auspicio, lui aveva portato una bottiglia di Amarone.
Parlarono del più e del meno, forse più del più che del meno, perché le tette di Elisabetta
puntavano al più, e forse al pieno. Tommy approfittò dell'ennesimo sguardo languido di
Elisabetta per tentare un bacio ed Elisabetta ricambiò il bacio, fin qui tutto bene, poi provò
la mano sulle tette, e anche qui via libera, poi slacciò i jeans di Elisabetta e anche qui via
libera, poi apparvero delle mutandine bianche, Tommy tentò di sfilarle ma Elisabetta lo
fermò con le mani e disse "scusami ma sono vergine e Testimone di Geova". Cosa? Cosa?
Cosa? Vergine e Testimone di Geova, che accoppiata letale! Tommy corse in bagno a
sboccare, vomitò la bistecca al sangue. Intanto Elisabetta, la vergine tettona di Geova,
si ricomponeva, la trovò davanti allo specchio che si riagganciava il reggiseno e si
accarezzava quei meravigliosi e maledetti capelli ricci. Che sia in combutta con quello
stronzo di barbuto bibliotecario? Forse mi hanno voluto fare uno scherzo...stronzi!
Che peste vi colga, stronzissimi amanti dei gatti, w i cani, w gli amici dell'Uomo!

lunedì 29 agosto 2022

LA FERRARI AL SEMAFORO

Ricky era fermo al semaforo nella sua Yaris, stava ascoltando Radio Ga Ga dei Queen,
una delle sue canzoni preferite, si voltò alla sua sinistra e vide un volante con il
simbolo del cavallino Ferrari, era una Ferrari cabrio, e Ricky pensò -finalmente posso
studiare la faccia di chi guida questo tipo di macchine- spostò quindi lo sguardo
verso il guidatore: un ragazzo spelacchiato con il pomo d'Adamo pronunciato,
un orecchino, espressione vagamente ebete, sguardo perso nel vuoto, in attesa
del verde. "No, non devo cadere in una percezione stereotipata, magari questo
ragazzo non è scemo come sembra, forse è un ragazzo prodigio, un luminare,
sì, preferisco pensare così, deve essere un luminare della medicina" bisbigliò
Ricky a se stesso, tutto compiaciuto della propria trovata. Scattò il verde, il luminare  
fece una sgasata del motore, gli venne un ghigno, e partì come un razzo. Ricky 
ripensò a un episodio della sua vita di tanti anni fa, era tra gli invitati del matrimonio
del cugino di una sua amica fichissima, si ritrovò al tavolo con l'amica fica e
il marito che non aveva mai visto. Gli sembrò un idiota colossale, rideva sempre
e raccontava barzellette cretine, poi disse a tutti "Arianna mi fa trovare la sua fica
sopra un piatto d'argento ogni mattina, sono veramente un uomo fortunato".
Ricky sapeva che Arianna gli metteva tante di quelle corna appena poteva
e pensò di avere davanti il più grande scemo che avesse mai conosciuto.
Arrivati al dolce, Ricky fece al marito cornuto una domanda: "E si può
sapere di che cosa ti occupi nella vita?", l'idiota cambiò espressione, sparì
il ghigno dal suo muso e rispose: "Sono ricercatore al CERN di Ginevra".
Arianna aggiunse "ah già Ricky, non ti ho mai detto che mio marito è
un fisico nucleare? Un genio". Porca di quella puttana di quella puttana di
una porca di quella puttana, cazzo! Ma allora è fottutamente vero che non
bisogna giudicare dalle apparenze! E Ricky in effetti si ricordò di avere un
amico che ruttava sempre in pubblico, ed era il primo contrabbassista della
Scala di Milano, vincitore del premio Bottesini. "Ma allora quel cazzo di
ragazzo nella Ferrari era veramente un luminare della medicina!" e parcheggiò
la sua Yaris sentendosi leggermente stronzo, ma proprio leggermente.

ROB RONCHIERO

Rob Ronchiero era un uomo mite, apparentemente mite. Corpo esile ma agile e scattante, occhi
azzurri e freschi nonostante gli 80 anni e oltre, un passato da allenatore di nuoto, divorziato con
sommo gaudio da una donna che per lui era diventata insopportabile. Una volta al mese portava
delle marmellate di sua produzione a una vedova con due figli simpatici e intelligenti. Prendeva
un caffè e si metteva a discutere appassionatamente con la vedova e i figli sul significato
dell'esistenza. "La vita è un equilibrio di energie, è un alternarsi di luce e tenebra, di vita e morte,
dobbiamo accettare la natura ciclica della vita ed essere sempre pronti a lasciare questo mondo
per poi tornare sotto altra forma" queste erano le sue certezze, ma trovava degli affettuosi
oppositori nei figli della vedova che gli rispondevano più o meno così "a noi non piace l'idea
di lasciare questo mondo, c'è ancora troppo da vivere e da fare, e non ci piace abbandonare
questa forma umana alla quale siamo affezionati, non ci interessa nulla di tornare sotto altra
forma, noi abbiamo un nome e un cognome, una storia e degli affetti e siamo innamorati
di quello che abbiamo vissuto, di quello che siamo e di quello che ancora dobbiamo essere,
la reincarnazione non fa per noi caro Rob, e poi per noi la vita non è tanto un alternarsi di
luce e tenebra, quanto un intrecciarsi continuo e palpitante, la morte sarà una grande
scocciatura, non la viviamo come un fatto naturale, semmai il contrario, morire è la
cosa più innaturale che possa capitare a un essere umano". "E allora andate in culo" diceva
Rob Ronchieri spazientito, infastidito, e quasi incazzato, ma poi tornava mite, placido, salutava
i figli e la vedova con affetto e tornava alla sua vita di pensionato "naturalistico". I suoi
vasetti di marmellata restavano sul tavolo, illuminati dal sole al tramonto, nelle etichette
leggevi: mandarini, more, fichi, arance. Un giorno confidò alla vedova che lui si era
sentito rifiutato dai suoi genitori, che era un figlio nato per errore, queste cose le aveva
scoperte durante una regressione sotto ipnosi, si era immerso nel liquido amniotico del
passato, e si era liberato dal dolore e dalla sofferenza psichica, ritrovando la serentià,
arrivando ad abbracciare ipnoticamente il feto che era stato, nell'utero di sua madre.
L'incubo ricorrente di precipitare in un abisso come un cadavere putrefatto lo aveva
abbandonato per sempre, grazie alla sua filosofia e alle sue tecniche spirituali si era
salvato dalla follia. Nonostante tutto, quando qualcuno criticava le sue certezze, Rob
Ronchiero lo mandava in culo, ma poi tornava sereno e pacifico, e le sue marmellate
fatte in casa restavano sul tavolo a mostrare la sua dolcezza e la sua generosità, la sua
voglia di affetto e di condivisione. Amava andare in barca, lontano da tutto, si faceva
cullare dal mare, portava un cappellino bianco per ripararsi dal sole, e qualche volta
un piccolo dubbio si faceva strada dentro di lui "e se quegli stronzi dei figli della vedova
avessero ragione?". Ma no, no, non avrebbe mai abbandonato le sue certezze, mai.
"Tutto è ciclico, e quando morirò tornerò in vita sotto un'altra forma", questo pensiero
gli faceva bene, gli aveva tolto la paura della morte e gli aveva fatto perdonare i suoi
genitori che non lo avevano voluto, la sua nascita non era più un errore ma un'emozione.

IL CARATTERE

Come si forma il carattere? Che mistero! Enrico e Davide erano due fratelli, e avevano due
caratteri completamente diversi, fin da piccoli il loro destino era segnato. Enrico era stato
un bambino introverso, silenzioso, osservatore, stava nel passeggino senza dire una parola
e spiava gli esseri umani, diventò un voyeur e godeva solo contemplando altri corpi che
facevano sesso, mentre Davide era sempre stato socievole, da piccolo andava a fare il solletico
ai piedi degli adulti che prendevano il sole sulla spiaggia, "suo figlio mi ha appena fatto
il solletico signora, ma non si preoccupi, è così simpatico". Davide diventò un comico di
successo, amava tenere banco, era il simpatico della compagnia, e godeva a fare sesso di
persona, senza delegare come invece faceva Enrico. I due fratelli andavano d'accordo, si
compensavano a vicenda, ogni tanto qualche litigio, ma ordinaria amministrazione, niente
di più. Nessuno dei due fratelli si sposò e vissero gli ultimi anni della loro vita nella stessa
casa. Enrico stava sempre in salotto a guardare la tv, poi quando si stancava delle idiozie
televisive, si affacciava alla finestra e passava ore a vedere gli esseri umani indaffarati a
vivere. Davide invece era un vecchietto arzillo, stava sempre al bar con gli amici, e
non aveva perso il vizio di correre dietro alle gonnelle, anche se aveva il fiatone.
Il primo a morire ovviamente fu Davide, altrimenti Enrico non avrebbe potuto assisterlo,
contemplare l'agonia del fratello che anche in punto di morte faceva battute spiritose,
del tipo: "morire è come andare di corpo, uno sforzo, tanta puzza e poi via con lo
sciacquone nelle tenebre". Davanti al cadavere del fratello Enrico fece l'unico gesto
della sua vita: si avvicinò ai piedi freddi di Davide e gli fece il solletico. Nessuno rise questa
volta, nemmeno l'amato fratello. Dopo qualche anno morì anche Enrico, solo e cieco.

IL SADICO IMMAGINARIO

Oliviero era l'uomo più buono e gentile del mondo, aveva fatto male a una mosca nel 1977 ma per
sbaglio. Oliviero era un sadico solo attraverso quella facoltà meravigliosa che è l'immaginazione.
Immaginava di legare a una sedia l'amico Luigi che odiava i formaggi, soprattutto il gorgonzola,
e nella sua testa preparava un piatto di gnocchetti al gorgonzola, poi tappava il naso di Luigi e appena
l'amico apriva la bocca giù a riempirlo di gnocchetti colanti di gorgonzola fuso. Voleva bene a
Luigi nella vita di tutti giorni, ma con la fantasia si divertiva a torturarlo, perché c'è poco da fare:
la crudeltà è terribilmente divertente. Infatti Oliviero rideva spesso e gli amici non capivano il
motivo. Con Claudio che era geloso fino alla follia, che diceva alla moglie di conservare lo
scontrino del supermercato per controllarne i movimenti e l'orario, immaginava scene erotiche
indecenti, si divertiva a pensare Claudio che rientrava a casa e trovava la moglie in compagnia
di due stalloni, per lui era una goduria raffigurarsi il volto inebetito dalla gelosia dell'amico.
Con Filippo che era ossessionato dall'ordine, immaginava un tifone che sconquassava la sua
casa. Con l'amico tirchio sognava un furto, una rapina in banca, un affare disastroso che portava
l'amico sull'orlo della miseria. Eppure nelle sue relazioni umane e sociali era l'uomo più
quieto, affabile e premuroso che si potesse incontrare, tutti gli volevano bene, tutti lo amavano.
Nessuno poteva immaginarsi il suo sadismo interiore, il suo segreto divertimento. Quando
Oliviero morì al suo funerale parteciparono tutti gli amici che aveva torturato, erano in lacrime,
erano distrutti da quella perdita, "non ci sarà mai più un uomo buono come Oliviero" ripetevano
in coro, non sospettando minimamente di essere state le sue vittime preferite. Olivierò morì
con un sorriso sulle labbra, chissà che cosa stava immaginando quando la morte lo prese e
lo portò via per sempre dalle sue fantasie cruente, sadiche e terribilmente divertenti.

domenica 28 agosto 2022

ANGELA E ANGELO

"Non essere sciocca, non puoi guardare un film horror e chiudere gli occhi proprio sul più bello"
"Non riesco a vedere tutto quel sangue, mi fa impressione" "sarebbe come vedere un film porno
e chiudere gli occhi durante l'eiaculazione, non ha senso" "ha senso per me, sei tu che mi porti
a vedere questi film horror, fosse per me non sarei qui" "allora alziamoci, andiamo via, mi hai
rotto". Angela e Angelo si alzarono e uscirono dal cinema, la loro relazione era in crisi da tempo.
Dopo dieci anni si conoscevano a memoria, quando facevano sesso non c'era più sorpresa,
Angela anticipava con la mente le mosse di Angelo e Angelo conosceva ormai tutto lo spartito
dei gemiti di Angela. Avevano bisogno di una scossa, di qualcosa di forte. Una notte Angelo
andò alla stazione centrale di Milano, accostò la macchina e tirò giù il finestrino, il nero gli
disse subito "tu hai donna bionda da farmi scopare, vero?" "beh, sì" disse Angelo. Lo fece
salire. "Tu non preoccupare, io sapere cosa tu pensare, avrà uccello grosso questo nero? Tu
tranquillo, Mamadou ha bistecca nera tra le mutande, tua donna sarà contenta". Angela stava
aspettando nuda sul letto, non era convinta della cosa ma era curiosa e iniziava a sentire una
certa agitazione che poteva dirsi erotica. Suonò il citofono. "Sono io con un amico". Angela
aprì la porta, Angelo disse "questo è Mamadou", "piacere Angela", Mamadou era già eccitato,
tirò giù la ceniera ed effettivamente apparve una sorta di bistecca nera che spaventò Angela,
si coprì gli occhi con le mani per lo spavento. "Cristo, Angela! Ancora con questa storia che
ti copri gli occhi, non ne posso più, non siamo mica in un film horror!". Andarono tutti e tre
in camera da letto. Mamadou prese Angela subito, senza tante storie, lei gemeva di piacere,
Angelo era eccitatissimo, si tolse le mutande, voleva partecipare anche lui alla festa, fece per
mettere il suo uccello nel culo di Angela ma si accorse che era già occupato. Angela urlò.
Era venuta, e anche Mamadou era venuto. Angelo ci rimase male. Già tutto finito? Lui non
aveva fatto in tempo a divertirsi. "Amico, tua donna ha goduto, ora tu riaccompagnare
Mamadou in stazione". Angela rimase sola, ora aveva gli occhi ben spalancati e fissava
il soffitto accarezzandosi il ventre. Angelo tornò. Si mise a letto. "Ti è piaciuto troia?"
"Sì, tantissimo". Angelo provò una fitta allo stomaco e vomitò sul cuscino immacolato.
Intanto Mamadou stava raccontando ai suoi amici la sua avventura notturna, e rideva con
i suoi denti bianchi, rideva, rideva "donna bionda ha provato bistecca di Mamdou, ora
donna bionda non dimenticare più Mamadou" e rideva, rideva con i suoi denti bianchi
come la luna. Angela dormì serena, non dormiva così bene da anni. Angelo ebbe solo
incubi. Incubi a ripetizione: tante bistecche nere che danzavano davanti a lui, e nel sogno
si coprì gli occhi per la paura. Si svegliò urlando, ma Angela non si accorse di nulla.

LA TEORIA DI ALICE

Alice aveva una teoria: "in giro ci sono tanti uomini nervosi e tristi, si incazzano per niente, per una
sciocchezza, quegli uomini hanno donne che non gli leccano le palle, i miei uomini sono sempre stati
sereni, gioviali, sorridenti, e sapete perché? Perché io lecco le palle, adoro le palle e gli uomini con
le palle, per me sono una prelibatezza, un piatto raffinato, e bisogna ovviamente saperle leccare bene,
altrimenti gli uomini restano tristi e nervosi, bisogna essere delicate e al tempo stesso energiche,
perché le palle sono anche una fonte di dolore e non solo di piacere, bisogna avere una lingua che
sappia giocare con le palle, che sappia appuntirsi per dare colpetti e "sfilettare" e sappia farsi anche
ventosa, insomma è una raffinatezza e gli uomini adorano le donne che leccano le palle e quelle
donne che non le leccano o non le sanno leccare sono giustamente cornute, se le meritano le corna
queste schizzinose senza passione, senza amore, e senza fantasia". Scroscio di applausi maschili.
Alice era famosissima tra i maschi, i maschi l'adoravano e alcune donne non la sopportavano.
Quali donne non sopportavano Alice? Beh, lo immaginate: quelle donne stitiche di passione che
non leccano le palle, quelle donne insopportabili che non amano le palle, come si fa a ignorare
le palle in un rapporto orale? Quelle donne sono castranti, nel vero senso della parola, quelle
donne non amano gli uomini, quelle donne sono in definitiva delle donne senza vita e senza
amore! Lo scrivente è d'accordo in tutto e per tutto con la teoria di Alice. Un giorno Alice si
innamorò di un uomo che non amava farsi leccare le palle, le disse "smettila, mi fai il solletico".
Il solletico? Quale affronto fu per la nostra Alice sentirsi dire quelle parole stronze e maledette.
Sergio aveva uno scroto perfetto, l'attaccatura era aderente, non erano palle oscillanti, ma tonde,
depilate, profumate persino, ed era un vero spreco per Alice, una vera tortura non poterle leccare.
Le palle di Sergio non erano mai sudate, erano le palle perfette, eppure...niente da fare per Alice
che restava a bocca asciutta. Quanto può durare un amore così? Poco. Infatti Alice e Sergio
si lasciarono dopo appena sei mesi. Ed è giusto così, gli uomini come Sergio non si meritano
le donne come Alice. "Mi fai il solletico", ma sono cose da dirsi a una leccatrice di palle come
Alice? Esiste qualcosa di più idiota di una frase simile? No. Sergio era un idiota e Alice un
genio, cioè: una donna. Le vere donne sono tutte geniali. le vere donne non possono vivere
senza leccare le palle. Purtroppo il mondo pullula di uomini nervosi, verognatevi donne e
imparate da Alice. Gli uomini di Alice sono stati tutti uomini sereni, sorridenti, amabili, con
l'eccezione di quell'idiota di Sergio che sorrideva, pur avendo le palle ritrose. Che spreco!

LA RAGAZZA DELLA RECEPTION

Amanda lavorava alla reception di un famoso albergo di Lisbona. Arturo si trovava a Lisbona per lavoro,
fu accolto da Amanda in modo molto professionale. Amanda non era una bellezza ma aveva fascino, gli
occhi, grandi e lucenti, erano il suo punto di forza e un sorriso accattivante completava le sue armi di
seduzione. Il giorno dopo Arturo sbrigò il suo lavoro, installava software, la ditta lo mandava sempre a
Lisbona o in Brasile perché Arturo masticava il portoghese. Dopo avere cenato al ristorante dell'albergo
Arturo rientrò in stanza per riposarsi, si distese sul letto e si mise a sfogliare un quotidiano. Stava per
chiudere gli occhi quando sentì bussare, andò ad aprire ed era Amanda "mi permette di entrare?",
Amanda lo guardò negli occhi, sembrava imbarazzata, gli disse "le piacerebbe fare una passeggiata
con me per Lisbona? Ho qualche ora di libertà e vorrei conoscerla meglio". Arturo si allacciò le
scarpe ed accettò quell'invito del tutto inaspettato. Andarono a bere qualcosa in un localino vicino
al porto. Arturo aveva circa 30 anni e Amanda 25. Passeggiarono sotto le stelle, parlarono di tutto,
anche della splendida voce di Amalia Rodrigues, poi Amanda disse "posso baciarla?". Ora dovete
sapere una cosa: Arturo era vergine e non aveva mai baciato una donna, un passato da Testimone di
Geova gli aveva fregato tutte le esperienze erotiche della giovinezza, e si era portato dietro quel
fardello fino all'età di 30 anni, anche se aveva rinnegato la fede ed era diventato un ateo convinto.
L'occasione però era ghiotta: baciarsi a Lisbona sotto le stelle con la ragazza della reception del
suo albergo. Si baciarono ma Amanda notò subito qualcosa di strano, Arturo non sapeva baciare,
le sembrò di baciarsi con una rana. "Amanda, è inutile girarci intorno, sono vergine e tu sei la
prima donna che bacio in vita mia". Quella confessione fu l'asso vincente, Amanda si appassionò,
si sentiva investita di una missione: sverginare quell'uomo insolito che aveva una voce calda e
avvolgente che le piaceva da impazzire. Si baciarono ancora e ancora, e Arturo iniziò a prendere
confidenza con la lingua di una donna nella propria bocca. Andarono in albergo e fecero l'amore.
La mattina dopo Arturo doveva ripartire, Amanda aveva ripreso a lavorare e lo salutò in modo
professionale, auguarandogli un buon rientro in Italia. Si tennero in contatto, fecero anche delle
vacanze insieme in Svezia, dormendo sotto una tenda e andando in canoa. La storia andò avanti
per qualche anno, poi Amanda lo lasciò improvvisamente, senza dare spiegazioni. Le vicende
della vita portarono Arturo in Messico, dove trovò una moglie, un lavoro e una casa. Quella
storia con Amanda però non riuscì mai a dimenticarla, aveva la collezione di tutti i dischi di
Amalia Rodrigues, ogni sera ne ascoltava uno, disteso sul divano, mentre la moglie si preparava
per andare a letto, la voce di Amalia lo avvolgeva e ripensava a quella passeggiata notturna
per Lisbona con Amanda, la ragazza della reception che lo sverginò, liberandolo dai Testimoni
di Geova per sempre. "A che cosa pensi?" gli chiedeva sempre la moglie, e lui "A niente amore,
a niente".  Di Amanda non seppe più nulla, un giorno stava per comprare un biglietto aereo
per Lisbona, ma ci ripensò. Il passato è il passato. Troppi anni erano trascorsi ormai...


L'ACQUA CRISTALLINA

Luca Maggio non era un tipo come gli altri, fin da bambino la pecora nera era sempre stata la sua eroina.
L'uomo egregio è appunto colui che esce dal gregge e Luca Maggio faceva di tutto per uscire dal gregge,
anche a costo di rovinarsi la vita per sempre. Era uno degli uomini più invidiati del momento perché
una bellissima ereditiera, figlia di un industriale delle cotolette, si era innamorata di lui. Del resto non
era difficile innamorarsi di Luca Maggio: alto, robusto, mascella volitiva, sguardo verde (non occhi verdi,
sguardo verde), intelligenza, spirito, sportivo, attrezzatura genitale di tutto rispetto, insegnante di filosofia
nei licei, inutile dirvi che tutte le sue allieve lo sognavano di notte e si masturbavano alla lavagna, sempre
nei sogni. Anche Barbara, la figlia del cotolettaro miliardario, era quindi invidiata. Dovevano sposarsi
a breve. Barbara invitò Luca a cena, era la cena ufficiale prima delle nozze. Aristide Briante, il padre
di Barbara, era un industriale che si era fatto da solo, distribuiva le famose cotolette Briante in tutto
il mondo, soprattutto neglio Stati Uniti ne andavano pazzi, si era sposato con il primo amore della sua
vita, il primo bacio della sua vita, la prima ragazza della sua vita: Isabella Tintinno. "Allora figliolo, spero
che vogliate accettare come regalo di nozze la nostra villa in Sardegna che stiamo facendo ristrutturare,
si tratta di una villa da 15 milioni di euro, non so se mi spiego, ed è un regalo fatto con il cuore perché
la mia Isabella adora l'acqua cristallina della Sardegna, ma ormai noi siamo vecchi e poi abbiamo
il resort ai Caraibi dove ci troviamo benissimo quando vogliamo rilassarci". Isabella era quasi commossa,
Barbara si alzò in piedi e andò ad abbracciare il papà e la mamma, facendoli piangere tutti e due.
Anche il maggiordomo era commosso e tratteneva a stento le lacrime. Luca stava tagliando la sua
cotoletta o meglio: la cotoletta di Aristide Briante, e dopo averne mangiato un boccone disse "che
dire? Si tratta di un regalo veramente generoso, sono senza parole, Barbara è felice e tutto ciò che
rende felice Barbara è anche la mia felicità, e mi farò andare bene anche l'acqua cristallina". Ci fu
un silenzio imbarazzato. "In che senso ti farai andare bene l'acqua cristallina" gli domandò con
un'espressione lievemente corrucciata il cotolettaro miliardario. "Nel senso che io preferisco il mare
torbido, l'acqua scura, densa, impenetrabile allo sguardo, tutte le acque cristalline mi sembrano
vanitose, esibizioniste e fatue alla fine, terribilmente fatue d'azzurro". Isabella Tintinno fece cadere
la forchetta nel piatto, non credeva alle proprie orecchie con orecchini, "ma se l'acqua della Sardegna
è così bella e trasparente che sembra di essere in piscina!" "appunto" replicò imperterrito Luca "a me
piace bagnarmi nel mare, non in una piscina, signora Isabella, il mare deve fare paura, incutere
timore, il mare è spaventoso, chi lo vive come una piscina senza bordi è solo uno sciocco".
Barbara era ferita a morte, Aristide Briante pure e Isabella Tintinno era sull'orlo dello svenimento.
A quel punto Luca Maggio si alzò da tavola, ringraziò per l'ottima cena a base di cotolette e se
ne andò dicendo queste esatte parole "Barbara perdonami, ho capito in questo istante che non
saremo mai felici",  fu accompagnato dal maggiordomo, lasciando tutti a bocca aperta.
Prima di chiudere la porta il maggiordomo chiese a Luca Maggio "signor Luca, ma veramente
preferisce l'acqua torbida all'acqua cristallina della Sardegna?" "ma no Jervis, no, solo che quelle
cotolette fanno veramente schifo". E si tolse per sempre dalla vita di Barbara Briante.

sabato 27 agosto 2022

LA MORTE DI GIORGIO LENTINI

Giorgio Lentini stava morendo nel suo letto. Questi che riportiamo sono i suoi pensieri.
Sto morendo, chi l'avrebbe detto? Non ci si crede mai alla propria morte. Invece eccola
qua. Sto morendo nel mio letto, è già qualcosa, non sono in un letto d'ospedale e sto
morendo in un luogo intimo: la mia stanza. Sto morendo nel mio letto, nello stesso letto
che mi ha visto fare acrobazie d'amore e ora sto morendo senza acrobazie. Non credo in
Dio, quindi sto morendo per sempre. Lascerò questa stanza e questo mondo per sempre.
Ho paura? Non lo so, mi sembra una cosa talmente grossa morire per sempre che non
arrivo nemmeno ad avere paura, mi sembra irreale, eppure è tutto reale come un morso
sul collo. L'infermiera che mi accudisce non è male, se fossi in forze un pensierino
ce lo farei pure, intuisco un bel seno da succhiare. Mi piacerebbe morire col cazzo
duro, ma dovrei impiccarmi e non ho le forze. Ho amato due donne nella mia vita
(mi ostino a dire la mia vita), e ne ho scopate circa una ventina, non è poi così male,
c'è di peggio. Non ho fatto figli, meglio, i miei figli immaginari non moriranno mai.
Ho fatto una vita tranquilla, senza clamori, qualche viaggio, mi sarebbe piaciuto
vedere il Giappone in primavera, ma ho visto altri posti altrettanto belli. Ho fatto
il proprietario di case, ho dato tante volte lo sfratto e ora la vita mi sfratta, e forse
qualcuno sarà pure contento, non sono stato un santo ma nemmeno un criminale,
forse un po'stronzo a volte, quello sì, avrei potuto essere più accomodante...la cosa
che mi fa male è non vedere più il cielo, il cielo è una cosa bella, mi mancheranno
le sue nuvole, il suo azzurro, le sue tempeste. Mi mancherà il cielo e la tavola.
A tavola sono sempre stato bene, ho sempre avuto un ottimo appetito, il piatto che
mi mancherà di più sono gli spaghetti al pomodoro con sopra il basilico. Avrei
potuto fare di più, ma anche di meno. Avrei potuto tradire Patrizia, ma quella sera
avevo lo stomaco in disordine. Quando ho amato sono sempre stato fedele, volente
o nolente. Il volto di mia madre mi mancherà, il volto caro di mia madre, la mia
assassina. Anche gli alberi mi mancheranno e tutte le foreste che non ho mai
visto, ma ho viaggiato nel deserto sopra un cammello. Sto morendo, fa caldo e
almeno diventerò freddo. Sarà stanotte? Sarà domani? Sarà fra una settimana?
Chiuderò gli occhi per sempre. E quelle fottute tende gialle mi hanno sempre
fatto schifo, avrei dovuto cambiarle. Io morirò e le tende gialle resteranno.
Ho paura? Non lo so, è troppo grossa, ancora non ci credo, eppure l'altro giorno
allo specchio ho visto il mio teschio. Non ci si pensa al teschio quando si è
sani, eppure è sempre stata l'impalcatura del nostro volto. Mi scoccia morire.
Avrei voluto vedere l'uomo andare su Marte? No, che cazzo me ne frega.
Mi scoccia perché anche se ho dolori atroci, la pera che ho mangiato stamattina
era dolcissima, era buona, così buona che mi sono commosso e ho pianto.
Ho pianto per una pera, chi l'avrebbe detto? Così è questa la morte? Tutto qui?
Una pera dolcissima in riva alle tenebre. 


LA FETTINA D'ARANCIA NEL CRODINO

Arrigo Trotter accompagnò suo cugino alla stazione. "Mentre tu fai il biglietto, io vado al bar a
prendere un crodino, ci vediamo là". Pagò il crodino e si appoggiò al bancone in attesa.
Il barista, un tipo anonimo, gli versò il crodino nel bicchiere. "Mi ci metti per favore anche
una fettina di arancia?" "No, non te la metto la fettina d'arancia" "Perché?" "Perché non mi
piace il tuo muso" fu la secca risposta del barista anonimo. "Senti stronzetto, io il crodino
lo bevo sempre così, la cosa più bella è succhiarmi la fettina d'arancia dopo che l'ho bevuto,
quindi tu adesso mi ci metti questa cazzo di fettina d'arancia, chiaro? "Non te la metto".
Arrigo Trotter perse la pazienza "Allora ti aspetto fuori, quando smonti stronzo?" "Alle
otto smonto, e sai che faccio quando esco? Ti mando in coma con una fettina di arancia
nel culo". Intanto il cugino di Arrigo arrivò di corsa a salutare perché il treno per Firenze
era in arrivo sul binario 1. Arrigo salutò il cugino e si mise comodo sulla panchina ad
aspettare l'orario di chiusura del bar. Non aveva paura, era un barista anonimo, gli avrebbe
rotto la faccia a cazzotti a quello stronzo colossale. Il barista anonimo tirò giù la saracinesca
e guardò in direzione della panchina. Aveva in mano un martello e una fettina d'arancia.
Arrigo deglutì. Il barista si mise all'improvviso a correre verso la panchina, Arrigo si
spaventò e inciampò nel tentativo di fuggire. Il barista anonimo gli piazzò una bella
martellata sulla tempia, Arrigò finì in coma all'istante, poi il barista gli tirò giù pantaloni
e mutande e gli ficcò nel culo la fettina d'arancia "eccoti servito, muso di merda!".
Una donna di colore con un vestito rosso chiamò l'ospedale più vicino. "Questo è
il primo caso di un uomo in coma con una fettina d'arancia nel culo" disse il dottore.
E noi ci azzardiamo a dire che Arrigo Trotter fu il primo uomo della storia a finire
in coma con una fettina d'arancia nel culo, il sentiero dell'uomo è fatto anche di questi
bizzarri primati. Il barista anonimo fu arrestato, al giudice disse "voleva una fettina
d'arancia nel crodino, ma noi siamo il bar di una stazione ferroviaria, certe finezze
non ci appartengono, ha avuto quel che si meritava e poi non mi piaceva il suo muso".
Chissà se col Campari sarebbe andata diversamente. Forse sarebbero diventati amici. 
Chissà.

AI MATERASSI

Roberto viveva in un grande monolocale a Trastevere, la sua casa veniva chiamata
"i materassi" dagli amici, "andiamo ai materassi" dicevano come se si trattasse di un
locale, perché per terra al posto del pavimento c'erano tanti materassi. Facevano
grandi spaghettate e anche qualche orgia ogni tanto, da Roberto si beveva, mangiava
e scopava: uomini con donne, donne con donne e uomini con uomini, nella libertà
più assoluta. Si beveva soprattutto Cointreau, c'erano bottiglie di Cointreau vuote
dappertutto perché Roberto ne andava matto, se ne scolava due al giorno. I materassi
erano sporchi di sugo e di sperma. Una notte ci capitò anche Mauro, un romanaccio
di quelli veraci, partecipò per la prima volta a una delle famose feste dei materassi,
vedendo quello schifo e quella promiscuità disse "aò, me fate veramente schifo,
siete degli zozzoni"Per Roberto fu un colpo di fulmine, si innamorò all'istante,
"chi è quel ragazzo splendido che ci ha appena detto che gli facciamo schifo?".
Roberto e Mauro divennero inseparabili, Roberto gli pagava tutto e Mauro gli
donava la sua virile amicizia. Mauro si trasferì per un certo periodo ai materassi,
verrebbe da dire -chi disprezza compra-.  Solo che Mauro era un drogato, la
mattina invece di fare colazione preparava una spada da iniettarsi nelle vene.
Si alzava di notte delirando e scriveva di getto su dei fogli pensieri allucinati
che poi attaccava con un martello e un chiodo alle pareti dei materassi. Era
una patata bollente, ma Roberto ne era perdutamente innamorato e scottarsi le
mani era un piacere alla fine dei giochi. Una mattina i materassi si sporcarono
anche di sangue, non solo sugo e sperma. Mauro aveva spaccato una bottiglia
e si era ferito tutto il braccio. Nel suo passato poi si scoprì una storia d'incesto:
il padre aveva violentato la sorella, per questo Mauro si drogava dall'età di
sedici anni. Gli amici più cari dicevano a Roberto di liberarsi di Mauro, ma
Roberto gli fu sempre vicino, sempre fedele, era innamorato follemente del
dolore di Mauro e della sua disperata vitalità. Ai materassi gravitava tutta la
fauna romana legata al cinema: sceneggiatori falliti, attricette, attori senza
talento o con troppo talento, tutto un marasma di energia e marginalità. Era
veramente il locale più interessante di Trastevere, solo che era un monolocale
privato, era la casa di Roberto: ai Materassi. Sporchi di sangue, di sperma, di
sugo (le famose spaghettate di mezzanotte), e sporchi di vita. Roberto si scolava
le sue bottiglie di Cointreau e guardava con occhi innamorati il suo Mauro,
quello che un giorno disse "aò, me fate schifo, siete degli zozzoni". L'amore
è anche questo, l'amore frequenta anche i materassi sporchi d'amore. Una
sera Mauro si fece l'ultima spada nel parcheggio di un centro commerciale,
chiamò al telefono Roberto "Robbè, mi sto facendo una spada, sento che
sarà l'ultima della mia vita, morirò in questa macchina, in questo
parcheggio, ma ho voluto chiamarti, morire solo è troppo anche per me".
Roberto al telefono sentì la voce di Mauro che si affievoliva sempre di
più, fino al silenzio. Dopo la morte di Mauro, Roberto lasciò per sempre
i materassi, ma di quel pariodo folle tutti serbarono un ricordo bellissimo.

L'ERNIA ADDOMINALE DI BERTO

Berto Torti era appena stato operato di un'ernia addominale. "Adesso per qualche mese niente
sesso, mi raccomando", il medico gli aveva prescritto l'astinenza totale per almeno sei mesi.
Berto era vedovo, aveva 74 anni, si era fatto un lifting al viso, i capelli erano ossigenati e
aveva una bellissima dentiera nuova di zecca, tutta scintillante. Poi si era messo anche a
dieta, si sentiva irresistibile, un figurino, aveva in effetti un fascino residuale da macho
d'antan, un passato da cameriere in Germania, una breve carriera pugilistica, poi un'officina
di materie plastiche. Era in pensione da qualche anno e aveva una voglia di fica terribile.
Ogni tanto andava nelle balere a cantare, aveva una voce rude ma che riusciva a toccare
le corde di qualche vedova sessantenne con la ricrescita, il suo cavallo di battaglia era
Tu Si 'Na Cosa Grande di Modugno. Viveva da solo con un cagnolino di nome Poppy.
"Questa maledetta ernia" si confidò un giorno con il nipote "non mi fa fare quello che
vorrei fare: scopare. Sono già tre mesi che non tocco donna, solo qualche pompino di
sfuggita, così per non perdere le nozioni fondamentali, ma proprio adesso non ci voleva,
ho tra le mani una di 64 anni che a letto è una tigre, devo imbottirmi di Cialis per
riuscire a stancarla" "cazzo che sfiga zio, ma perché ogni tanto non vai con una bella
puttana ventenne? Non ti piacerebbe scoparti una ventenne?" "no, no, sarebbe squallido,
una volta ci sono stato con una puttana giovane, ho fatto la cazzata di guardarmi allo
specchio mentre la scopavo a pecorina, ho visto un vecchio flaccido ansimare nel corpo
di una ragazza annoiata, mi è venuto il disgusto e ho perso l'erezione, poi a me eccitano
i preliminari, i baci, è il più bello, e con le puttane te lo perdi, no, il mio campo di
azione sono le sessantenni, cazzo, ci sono delle sessantenni fichissime, credimi" e
il nipote non riusciva a convincersi del tutto "sarà come dici tu zietto, ma mi sembri
troppo sensibile, sai?". Berto Torti poteva sembrare rozzo a una prima occhiata, ma
in realtà era veramente un uomo sensibile, con una tenerezza aspra racchiusa in quelle
mani da lavoratore, mani che sapevano aprirsi anche in dolcissime carezze senili.
Il suo problema era che andava matto per la fica, non poteva vivere senza fica, e più
il tempo passava e più risultava difficile, i lifting non bastavano, le dentiere a fine
giornata finivano in un bicchiere. sempre più perplesse e meno sorridenti, e anche
il fisico, sebbene Berto Torti fosse ancora un fusto per la sua età, non reggeva più bene.
"Ti piace ancora leccare la fica, zio?" "scherzi? Mi faccio certe leccate di fica in
questi giorni, vere e proprie scorpacciate, sai, non potendo scopare ancora, vado
avanti a pompini e leccate di fica" "sei una forza zio, questa ernia alla fine non è
poi così male, ahahahaha" "ma tu che mi dici? Tu sei giovane, riesci a metterlo
nel culo alle donne? Io non riesco più da anni, nemmeno col Cialis" "certo zio che
ci riesco e che ci vuole? Mica ho 74 anni come te, ne ho solo 50, io me le inculo
tutte, stai tranquillo" "ah, bravo, e lo sburro? Ne trovi di donne che amano lo sburro
in bocca?" "zietto, lo sburro, come dici tu, va alla grande, tutte quelle che mi scopo
ne vanno matte, fanno a gara per ingoiarlo, ma sai, io ho un segreto per renderlo
dolce come il miele" "ah, e dimmelo cazzo!" "latte di mandorla zio, latte di mandorla
ogni giorno e avrai uno sburro dolce come lo Zabov che a te piace tanto". 
Il giorno dopo Berto Torti camminò a fatica verso un alimentari e prese dieci
litri di latte di mandorla, era un uomo sensibile, ci teneva alle sue sessantenni,
e poi l'astinenza sarebbe finita prima o poi e giù a scopare fino alla morte!

venerdì 26 agosto 2022

IO LE SCARPE NON LE TOLGO

"Lei si chiama Luana, ed è una nutrizionista, lui si chiama Candido e fa l'architetto, ci hanno
invitati a cena nella loro bellissima casa, mi raccomando Ricky, non farmi fare brutte figure,
a volte le spari grosse e puoi creare imbarazzo, cerca di darti un contegno stasera, sono
persone deliziose, fanno anche tanta beneficenza" "Se sono persone simpatiche sarò anche
io simpatico, tranquilla, tra l'altro sono molto sereno stasera, che cosa portiamo? Una bella
bottiglia di vino?" "Sì, un vino di pregio andrà benissimo". Patrizia e Ricky suonarono
il campanello. Furono accolti da Luana e da Candido, sapete quelle coppie che si presentano
abbracciate? Ecco, erano una di quelle coppie. "Prego, entrate carissimi" disse Luana,
"Piacere Ricky" " Ricky si presentò con naturalezza, poi Luana disse "Ecco, potete togliervi
le scarpe e mettere queste bellissime ciabatte", Patrizia si tolse le scarpe e Ricky no.
"Scusate ma io le scarpe non me le tolgo quando vado in casa degli altri", Luana e
Candido sorrisero e gli fecero notare con grazia che quelle erano le regole della loro
ospitalità. "Allora se queste sono le vostre regole rinuncio anche alla vostra ospitalità"
"Riccardo, smettila di fare lo scemo!" disse Patrizia con un pizzico di spavento perché
conosceva il brutto carattere del suo amico, "non faccio lo scemo, anche io ho le mie
regole Patrizia, se qualcuno mi invita non deve togliermi qualcosa subito, appena entro
nella sua casa, io vengo in pace, potrei avere i calzini bucati, ma non è questo il punto,
io per principio non mi tolgo le scarpe e detesto quelle coppie che ti obbligano a
metterti delle schifose ciabatte, non è il mio stile, io non sono tipo da ciabatta del cazzo,
un invito è anche un sacrificio, quando io invito qualcuno già metto in conto che mi
sporcherà il pavimento, non è un problema, pulirò il pavimento dopo, ma non
mi permetto di fare violenza allo stile di chi entra in casa mia, questa è una violenza,
una vera aggressione" "non drammatizziamo adesso" disse Candido, cercando di
riportare la discussione a un livello di compostezza, "se proprio non vuoi toglierti
le scarpe va bene per noi, faremo un'eccezione per la nostra amicizia che ci lega a
Patrizia". Ricky quindi si tenne le scarpe, guardò Patrizia, ma a Patrizia non fece piacere
quello sguardo, conosceva bene il suo amico. Candido prese la bottiglia "ah, un Amarone,
fantastico, è il mio vino preferito, prego, accomodatevi in salotto". Ricky e Patrizia
entrarono in salotto mentre Luana correva in cucina per togliere dal forno una
torta salata. In salotto c'era un divano bianco, la tentazione fu troppo forte.
Ricky alzò il piede e mise la sua scarpa sul divano, "ecco, questo sono io, è il
segno della mia presenza, non mi dimenticherete mai, mai". Candido iniziò a
tremare dalla rabbia, Luana aveva la mascella slogata dallo stupore, fece cadere
a terra la torta salata e iniziò a gridare, Patrizia svenne. Il resto è cronaca nera.

LA LUCERTOLA NEL SOGNO

Andrea sentì dei rumori vivi dietro l'armadio, gli sembrò un topo ma in realtà sbucò fuori un lucertolone
grosso grosso. Aveva paura delle lucertole, fin da bambino, quindi telefonò terrorizzato a un'amica che
gli disse di gettare addosso alla lucertola un asciugamano bagnato e poi di buttare tutto dal balcone.
Al terzo tentativo prese la lucertola e rapidamente si liberò di quel fagotto lanciandolo fuori.
Ora era più sereno, si scaldò una pizza surgelata nel forno, una cosa tristissima, poi si allungò sul
divano in salotto. Era solo, i fantasmi dei genitori insieme a lui, dopo la loro morte non aveva voluto
vendere la casa per motivi affettivi. Restando in quella casa gli sembrava di restare vicino a mamma
e papà e a quel bambino che era stato felice con loro. Andrea era un architetto di 54 anni, scapolo,
un carattere introverso, di quelli che si tengono tutto dentro e poi esplodono e fanno danni.
Aveva un modo di fare gentile e formale, ma dietro quella apparenza potevi sentire ribollire un
vulcano sempre sul punto di eruttare fuori la sua lava incendiaria. Soffriva d'insonnia e prendeva
degli ansiolitici che però non erano efficaci, ma quella sera si addormentò sul divano. Il sogno
non rispetta le leggi della realtà, si sa, e Andrea ebbe un sogno vividissimo, sognò il lucertolone
che gli si posava sul volto, si svegliò urlando, cadde dal divano e sbattè la testa sullo spigolo
del tavolino, morì all'istante. Un istante che si trascinò dietro tutta l'eternità possibile. Era notte
fonda, il suo cadavere fresco era illuminato dalla luce lunare. Dalla finestra aperta entrò una
strana creatura, sembrava proprio un asciugamano vivente che lasciava una scia bagnata sul
pavimento, poi l'asciugamano si fermò, sotto si agitava qualcosa, un animale, dopo qualche secondo
uscì fuori il lucertolone, con movimenti preistorici il rettile si mosse nella casa come se fosse
il nuovo padrone, infine si piazzò proprio sul volto immobile di Andrea che aveva la bocca
aperta, quasi pronta a mordere la coda del sauro, il rettile era il re incontrastato di quel momento,
di quella casa abitata dai fantasmi e tirò fuori la lingua biforcuta per stabilire il suo dominio.
La realtà combaciava col sogno. In quella notte densa come il catrame si sentì l'urlo fantasma
di Andrea, un urlo silenzioso, un urlo infinito, e il suo volto tornò bambino, come per magia.

IL SOLLEVATORE

Ormai Inga aveva bisogno del sollevatore meccanico, Ada non aveva più la forza di alzarsi da sola
e di stare in piedi sulle proprie gambe. Ada era malata, Inga era la sua affezionata badante georgiana.
Per tutta la vita Ada si era dedicata agli altri: al marito, al figlio, al lavoro e ai nipoti, poi era rimasta
vedova in tarda età. Il destino volle regalarle un ultimo amore, un vecchio di nome Silano.
Questa relazione aveva raffreddato i rapporti con Morena, la sorella di Ada, perché Silano non
era certo un simpaticone "se questa estate vai a stare da tua sorella ti lascio, tu devi stare con me".
Vedere un vecchio geloso è uno spettacolo sublime e ridicolo al tempo stesso. Un giorno Ada
chiamò Morena al telefono "Sai che Silano è morto? Lo hanno trovato stamattina stecchito nel letto"
A Morena sfuggì un sorriso che Ada non vide, ma forse intuì. Dopo la morte di Silano i rapporti
tra le due sorelle ripresero il loro normale corso, non c'era più l'intruso di mezzo. Morena era
più giovane di 6 anni, Ada ora ne aveva 88, ed era precipitata di colpo nella vecchiaia, una serie
di malattie l'avevano stroncata: un infarto, un ictus, l'acqua nei polmoni. Ma era ancora viva e
non aveva perso il buonumore, Ada sorrideva della propria situazione, era come se guardasse la
la vecchiaia da fuori, come una spettatrice. A Morena si spezzava il cuore quando andava con i
suoi figli a trovare Ada, vedere la sua sorellina in quello stato era penoso per lei, ma i figli le
dicevano "mamma, la zia è in buone mani, Inga è straordinaria, e poi hai visto come si tengono
le mani? C'è dell'affetto tra di loro e questa è una cosa molto bella. La zia Ada sorride di se
stessa, non si lamenta, e quindi non devi essere così triste mamma, la tua sorellina sta vivendo
i suoi ultimi giorni con il senso dell'umorismo". Morena non voleva fare quella fine, era ancora
energica e quando guidava mandava a fanculo tutti, si raccomandava ai figli "se farò la fine di
Ada, dovete mettermi un cuscino sul volto, preferisco morire" "certo mamma, certo, come no".
Per Morena perdere l'autonomia era il più grande affronto che la vita potesse farle. Inga e Ada
si volevano bene, ogni tanto Inga preparava una specialità georgiana di cui Ada era golosa: il
caciapuri, una focaccia con il formaggio (tre tipi di mozzarella). Morena non riusciva a vedere
la segreta fanciullezza di Ada, intrappolata in queli occhi ridenti, vedeva solo il sollevatore meccanico
che l'alzava e la posava o sul divano o sulla sedia a rotelle, vedeva un corpo in balia di una
macchina, dove era finita la sua sorellina? Per lei era una pena indicibile e lo sguardo di Morena
si perdeva nel vuoto, forse era la paura di fare la stessa fine, forse era il suo amore ferito.
Solo i figli di Morena riuscivano ancora a vedere la bellezza: l'affetto tra Inga e Ada, una nata
in Georgia e l'altra a Firenze, una badante e una vecchia malata, i loro giorni vissuti tra mille
difficoltà, ma con tutta quella tenerezza che si manifestava quando Ada cercava la mano di
Inga, non la mano di sua sorella Morena. E poi quel sorriso ironico sul volto di Ada, quel
suo prendere le distanze anche da se stessa, come a dire "sorellina mia, io sono sempre la tua
Ada, non riesci a vederlo? Questo corpo malandato è solo la coda di tutta la mia vita, ma
io non sono questo corpo, non lo vedi sorellina mia? Non senti che i nostri giochi, le nostre
corse, i nostri amori sono ancora nei miei occhi ridenti? Tu vedi solo questo sollevatore
meccanico, sei diventata cieca, guarda bene Morena, prendi anche tu la mia mano come fa
Inga". Ma Morena soffriva, si sentiva tradita, la sua Ada era un corpo afflosciato su una
sedia, la sua amata sorella era l'ombra di se stessa e Morena aveva paura di quell'ombra che
sentiva anche su di sé, e ripeteva ai figli "quando sarò come Ada, voglio un cuscino sul volto".
"Certo mamma, come no mamma". Ada sorrideva quando il sollevatore meccanico l'alzava,
le sembrava di essere sopra la sua ultima altalena, anche quella era una strana giovinezza.

giovedì 25 agosto 2022

L'INCIDENTE IMMORTALE

Non si fece un graffio, fu quasi un miracolo, la sua Yaris era tutta accartocciata, e davanti a lui
una scena terribile: c'era una macchina capovolta che perdeva benzina, dentro si scorgeva una ragazza
bionda che urlava "tiratemi fuori, vi prego", l'auto capovolta prese fuoco improvvisamente.
Nulla da fare, era impossibile avvicinarsi, si sentivano solo le urla disperate della giovane che
stava bruciando viva in un pomeriggio d'estate, sotto un cielo azzurro. I soccorsi arrivarono in
ritardo: pompieri e polizia. Trovarono solo un cadavere carbonizzato. Vittorio si fece venire a
prendere dal fratello in una stazione di servizio sull'autostrada. Vittorio era un filosofo stoico
di una certa fama e al momento dell'incidente si stava recando a una conferenza sullo stoicismo.
"Che cosa tremenda ti è capitata Vittorio, sarai sconvolto" gli disse il fratello abbracciandolo.
"Non è stato piacevole" rispose Vittorio "ma la colpa non è mia, l'incendio è scoppiato quasi
subito dopo e non abbiamo fatto in tempo a tirare fuori quella povera ragazza, nella vita capitano
queste tragedie e se non hai responsabilità la cosa migliore è restare sereni, imperturbabili e
godersi una bella cenetta, chiamerò l'assessore alla cultura di Pisa e gli dirò che salta tutto,
ma invece parliamo di cose serie, dove andiamo a cena stasera? Ho proprio voglia di una
bella bistecca alla brace con funghi porcini di contorno, sai, la morte degli altri mette appetito,
anche questa è una cosa che un filosofo stoico deve accettare come si accetta che una foglia
si stacchi da un albero, la vita è un fenomeno meraviglioso e terribile al tempo stesso, e noi
dobbiamo coltivare il meraviglioso senza farci opprimere dal lato terribile che è sempre
presente". Andarono a mangiare da Betta, una trattoria nei pressi di Borgotaro. L'appetito
vien mangiando, si dice, e Vittorio ordinò addirittura un contorno di patatine fritte oltre
ai funghi porcini che furono serviti in grande quantità. Per finire una torta della nonna, un
caffè e un amaro. La ragazza morta bruciata viva nella macchina si chiamava Ursula Maier,
non era più una donna ma un pezzo di carbone e aspettava un figlio in grembo. Vittorio e
il fratello tornarono quasi ubriachi a casa, ridendo e scherzando, ormai era notte e anche
Dio stava dormendo fra le stelle. "Mai farsi coinvolgere dai drammi, mai" ripeteva Vittorio.
Si coricarono e Vittorio sognò un coniglio bianco che sbucava dal suo cervello placido.


LA FICA INVINCIBILE

Carolina Polanco era una fica stratosferica, di quelle che fanno girare la testa anche ai preti e alle
suore, e agli assicuratori. Quando camminava (ondeggiava) per strada aveva la certezza che tutti
gli uomini sfiorati avrebbero fatto carte false pur di scoparla, tradito la moglie, forse i figli e chissà
quali altre nefandezze. Era una fica magnetica, gravitazionale ma soprattutto era crudele.
Confidò a un'amica: "Gli uomini cadono ai miei piedi, hanno fatto di tutto per me, si sono umiliati
in tutte i modi e io mi sono divertita a umiliarli, uno l'ho quasi ucciso a furia di prenderlo a schiaffi
sulle palle, e quello mi era anche riconoscente, e non era mica un masochista, no, era un uomo
normalissimo che subiva tutto pur di scoparmi, altri sono andati in rovina per me a furia di regalarmi
brillanti, rubini e smeraldi, tutti erano disposti a lasciare la propria moglie per una notte di sesso
con me, non una vita, una notte, ma c'è una cosa che si sono rifiutati di fare, nessuno escluso,
pur con tutte le scuse del caso, si sono rifiutati di tirare un pugno nel volto della propria madre,
voglio vedere se riesco a trovarne uno, questi mammoni del cazzo, li odio". Un giorno la perfida
Carolina Polanco, di origini colombiane, trovò un signore distinto di mezza età che le disse: "Devo
tirare un pugno in faccia a mia madre, alla mia adorata madre, per scoparla? Ok, ma voglio il suo
culo signorina, il suo culo a mia disposizione per tutta la notte". Carolina ci pensò sopra, il culo
era ancora vergine, non l'aveva mai dato a nessuno per disprezzo verso gli uomini, ma accettò,
era entusiasta, un uomo avrebbe dato un pugno in faccia alla madre per lei, ne valeva la pena.
Fu stipulato l'accordo con tanto di testimoni, Carolina volle accertarsi all'anagrafe che non si
trattasse di un'attrice assoldata ma della vera e propria madre del signore distinto. Ci fu un
invito a cena a casa della madre, una villa moderna e miliardaria , e la cena fu servita nella veranda 
da camerieri impeccabili, erano in tre a tavola: Carolina, Alberto De Grandis e la contessa De Grandis.
Anche la contessa era soggiogata dal fascino di Carolina Polanco che per l'occasione indossava
un vestito bianco come la luna, con uno spacco infernale, e al collo brillava la sua collana più
malvagia: la famiglia di un banchiere andata in fumo, tre miolioni di euro di collana.
Carolina si accertò durante la cena del reale affetto che scorreva tra la contessa De Grandis e
il figlio. Finita la cena, andarono davanti al camino per degustare uno sherry rarissimo.
La contessa era una vecchietta piena di dignità e di tenerezza, ma sembrava malata, tossiva
ogni tanto, e questo rendeva la scommessa ancora più interessante agli occhi della diabolica
Carolina Polanco. Ora, alcuni lettori piuttosto ingenui si aspetterebbero un colpo di scena
a questo punto del racconto, invece no. Alberto poggiò sul tavolino il suo sherry, si alzò,
raggiunse la madre che stava seduta vicino al camino e colpì con una forza indicibile
il volto illuminato dalle fiamme della contessa De Grandis, la quale stramazzò al suolo
perdendo sangue copiosamente, il fuoco ebbe un guizzo luminoso, poi prese di
forza Carolina e la gettò sul tappeto persiano, la girò, le strappò di dosso il vestito bianco
e la inculò senza pietà fino al coito estremo, mentre la contessa De Grandis si lamentava
e riuscì a dire solo "figlio mio, figlio mio, che cosa hai fatto?" prima di lasciare la sua villa,
la servitù e questo mondo assurdo, esalando l'ultimo stupefatto respiro nobiliare. Alberto
si abbottonò i pantaloni, chiamò il maggiordomo e fece accompagnare alla porta una
Carolina Polanco distrutta e dolorante, ma felice del suo smisurato potere sugli uomini.
"Jervis, ora chiama un'autoambulanza per mia madre, anche se credo sia ormai troppo
tardi". Alberto si sedette sulla poltrona davanti al camino, aveva una lacrima che gli
brillava sul viso e una goccia di sperma stillante dalla sua cappella arrossata che gli
macchiò le mutande. Tirò fuori dalla tasca una pipa, l'accese. Che inculata cosmica, pensò,
mentre le sirene dell'ambulanza si avvicinavano alla villa urlando nella notte.

mercoledì 24 agosto 2022

DI PUNTO IN BIANCO

Laura lasciò Rodolfo. "Ti lascio Rodolfo" "Così? Di punto in bianco?" "Sì, di punto in bianco".
Un punto e poi il bianco, il bianco dell'abbandono. Nessuna motivazione, come quelle persone
che si tolgono la vita senza lasciare un biglietto, forse perché il suicidio è già un biglietto da
visita. Rodolfo la vide uscire con la valigia, in quella valigia c'era l'addio. Non trovare più le
mutandine di Laura nel cassetto lo faceva soffrire, era una fitta al cuore, una rasoiata nel sangue.
Per mesi e mesi Rodolfo si tormentò alla ricerca di una risposta, andava tutto bene, almeno a
lui così sembrava, invece lei covava l'addio chissà da quanto. "Forse ti ha lasciato perché
sei un igienista" gli disse un amico. Rodolfo era uno di quegli uomini che prima di leccare
fra le gambe la propria donna chiedeva "ti sei lavata la passerina amore mio?". Non c'è nulla
di meno erotico di un uomo così, diciamolo francamente. Il sesso non è igienico, la carta è
igienica al limite, non il sesso, il sesso è sporcizia evoluta, sporcizia dinamica. Chissà, forse
questo è il motivo, la mia ossessione per la pulizia e l'ordine, pensava Rodolfo. Per ingannare
il suo dolore si comprò un pappagallo e gli insegnò a dire "Laura puttana". Nella sua casa
perfetta, senza polvere, con l'argenteria perennemente lucidata, Rodolfo agonizzava.
Unica consolazione il pappagallo che lo svegliava al mattino con "Laura puttana, Laura
puttana". Un giorno Rodolfo conobbe un'altra donna, Matilda. La invitò a casa sua, le
chiese di togliersi le scarpe con il tacco, le preparò una bella cenetta a lume di candela, e
poi...e poi le disse "quello è il bagno, vai a lavarti la passerina che ho voglia di leccartela".
Matilda si offese, prima di andarsene gli tirò uno schiaffo "stronzo, io sono pulitissima".
Rodolfo lavò i piatti, poi si mise il pigiama, si lavò i denti e dopo andò a dormire.
Intanto Laura in un porcile stava godendo come una matta, un uomo peloso la stava
sbattendo nel fango, in mezzo ai maiali che grufolavano, in una notte di luna piena.

 

GLI AMICI DI MILENA

"Suo marito è deceduto" queste furono le parole del medico dette alle tre di notte
al telefono. "Deceduto?" Milena era incredula, come si fa a credere alla morte del
proprio amore? Ma intanto Aldo aveva fregato la morte, la sera stessa era riuscito
a dire alla sua Milena "ti amo". La morte non ha l'assoluto dell'amore. Gli amici
di Milena le dissero: "da oggi verremo da te ogni sabato per stare assieme, non
ti lasciamo sola". Ogni sabato Emanuele e Ornella partivano da Livorno per arrivare
a Cinquale, una frazione di Montignoso, e Mirella partiva da Sesto Fiorentino.
Andavano a cena, si facevano compagnia. 40 anni di matrimonio possono essere
spazzati via da tre secondi di morte? No. Aldo era sempre vicino a Milena ma
in modo diverso, in una maniera più sottile e più penetrante. Dopo la morte di
Aldo, Milena aveva paura a dormire da sola, si sentiva amputata. Aldo era
diventato un coltello affilato che Milena teneva sotto il cuscino. "Mamma, ho
trovato un coltello sotto il cuscino di papà, ma sei matta?", "Ricky, non sono
matta, quel coltello mi serve se entrano dei ladri in casa quando tu e tuo fratello
siete a Milano" "Mamma, meglio che lo togli, se un ladro ti vede con un
coltello in mano è peggio, fidati, non voglio più vedere quel maledetto coltello
sotto il cuscino di papà!". Quanta forza si celava in quel gesto? Un coltello
al posto di papà...Riccardo aveva ammirazione per sua madre. Emanuele e
Ornella, Mirella, amici veri, persone meravigliose, molto meglio loro di un
coltello affilato. Mirella era mite, parlava poco, ma la sua presenza era forte,
tenera. Emanuele e Ornella invece erano ciarlieri, divertenti, una bella
compagnia e amavano ricordare Aldo insieme a Milena. Emanuele era un
ex dirigente in pensione, aveva conosciuto Romano Prodi, aveva lavorato
ad alti livelli, e amava raccontare a Riccardo di una notte d'amore sfumata
all'ultimo momento con Dalila Di Lazzaro. "Una notte d'amore sfumata con
Dalila Di Lazzaro è sempre meglio di una notte d'amore andata in porto con
qualsiasi altra donna" lo rincuorava Riccardo. Ornella era un'insegnante
di italiano, sempre sorridente, allegra, dallo sguardo vivo e intelligente, lei
non aveva notti d'amore sfumate con Fabio Testi, o almeno non ne faceva
parola. Mirella era vedova, era una sarta, aveva una bella clientela, dopo
il marito aveva avuto solo un'altra storia d'amore con Maurizio, un simpatico
avventuriero che però le aveva lasciato l'amaro in bocca. La filosofia di
vita di Maurizio era questa: "la vita per me è passare con una decapottabile
sotto degli alberi da frutto, alzarsi e prendere tutta la frutta che si riesce,
non c'è altro, c'è la frutta e i nostri morsi, bisogna dare più morsi possibili",
solo che per Maurizio il frutto da spolpare era Mirella, e lei un giorno si
stufò di mantenerlo. "Che fine ha fatto Maurizio?" "Mi sono rotta, non lo
vedrete più alle nostre cene" rispose Mirella. L'ombra immensa di Aldo
era sempre con loro, Aldo era indimenticabile, sia come marito che come
amico. E come padre. "Non respiro bene" disse quella notte al dottore
e morì in tre secondi, senza soffrire. Tre secondi di morte possono cancellare
una vita? No. La morte è un dettaglio, l'amore è l'assoluto. Riccardo ogni
tanto controllava sotto il cuscino, il coltello affilato non c'era più. Milena
aveva capito, Aldo non poteva essere sostituito da una lama affilata, anche
se era un pensiero forte, una reazione vitale, una fame di vita e d'amore,
un grido, un vortice, sotto un cuscino di piume illese. Aldo era dentro di lei.
Per sempre.