mercoledì 16 settembre 2015

QUANDO MUORE L'AVVENTURA

Era considerato un artista scomodo anche se amava le comodità.
Lui non si considerava un artista, non si considerava proprio.
Viveva come un estraneo dentro se stesso. Era un clandestino
della realtà. Amava le donne che ancheggiano nella notte e non
poteva amare quelle che non sanno dialogare con i lampioni.
Amava tutto ciò che si può trafiggere con un tacco a spillo.
Quando lo invitavano ai matrimoni trovava deliziosi gli antipasti,
ma il resto era di una noia mortale, tanto rumore per nulla, e il
nulla erano gli sposi, gli invitati, i fotografi, i camerieri e lo spettro
di una luna di miele turistica, l'infinita tristezza dei tropici, di una
sposa con l'immaginario da cartolina, e di uno sposo inamidato.
Allora sognava Sandokan, invocava Sandokan, e in cuor suo
avrebbe voluto essere Sandokan, e guardare con occhi di brace
la sposa per donarle almeno un brivido in tutta quella finta gioia.
Finta anche se vera. Finta perché Sandokan non era tra gli
invitati, c'erano solo i soliti architetti, i soliti programmatori, i soliti
idraulici, i soliti insegnanti, le solite maestrine, i soliti mammapapà,
i soliti nonni, i soliti amici, ma di Sandokan nemmeno una traccia.
E si sa, un matrimonio senza Sandokan è di una noia mortale.

1 commento:

-farinomane- ha detto...

Non disperare...conosci qualcuno che vive in Malesia e sta per sposarsi?