Non so se sia una forma di rifiuto
ancestrale, ma io ho sempre avuto
molte difficoltà a credere alla morte.
La morte fa di tutto per rendersi
credibile, me ne rendo conto, dalla
sua ha una esperienza notevole,
millenni e millenni di lavoro incessante,
non si ferma mai, meticolosa nel suo
operato, infallibile, direi : implacabile.
Eppure non mi convince. A volte
mette in scena se stessa in modo
spettacolare, scenografico, altre volte
si insinua, è sottile, quasi ambigua,
ti lascia un lievito di speranza nel cuore
e poi zac! Ti afferra e ti trascina giù.
La morte ha sete di noi e noi siamo
la sua sorgente. La morte è palpabile.
Verosimile. Presente all'appello.
Anche quando è assente è presente.
Eppure non mi convince. Voi direte
che la morte non vuole convincermi,
le basta privarmi e privarci della vita
ed è contenta così, sempre che possa
essere contenta, magari è triste ed
odia il proprio mestiere, oppure si
vede come una grande purificatrice.
Perché non riesco a credere alla morte?
Che cosa mi manca? Il senso della
realtà? E che cosa è la realtà?
Ma non voglio fare filosofia, non è
questo il punto. Voglio solo dire questo,
voglio solo dire che non credo alla
morte, è un mio limite, e non credo
nemmeno ai cadaveri, i frutti della
morte. Una volta ho visto il cadavere
di mio padre, un corpo immenso,
coperto da un lenzuolo bianco, in una
stanza d'ospedale, vicino a una
grande finestra piena di luce.
E le mie lacrime erano vita, il
dolore era vita, l'amore,
quello di mio fratello e di mia madre
era vita pulsante, nient'altro che vita,
solo vita. Anche quel corpo immobile
era vita. Ecco perché non credo alla
morte. C'era una finestra piena
di luce, era una giornata di sole.
E il sole di papà eravamo noi.
5 commenti:
Ciao Riccardo, non credo affatto che manca il senso della realtà per chi si interroga sulla morte e cerca di interpretarla, anzi, proprio i più grandi uomini si sono sempre interrogati sulla conclusione della vita perché non hanno avuto paura della verità riuscendo a prendere atto proprio della realtà. Purtroppo è la società moderna di oggi che tende a nascondere la morte e a ghettizzare i morti, lasciando morire gli uomini nella solitudine e nell'indifferenza, ma ogni uomo nel profondo avvertira sempre , se pensa alla morte, come un risentimento, e anche se tutti affermano che la morte è un fatto naturale, allora perché l'uomo avverte questo disagio considerando la morte come una violenza che non convince, come hai testimoniato chiaramente tu Riccardo. Forse perché l'uomo avendo una natura a due dimensioni, cioè quella materiale e quella spirituale, difronte al dissolvimento della materia è la sua dimensione spirituale che fa avvertire questo disagio e il non convincimento che con la morte finisce tutto.E sono proprio queste tue riflessioni, Riccardo, che danno testimonianza ancora una volta della straordinaria presenza nell'uomo di quella parte spirituale che non muore, infatti l'uomo ha un'anima che non si riduce al ciclo finito della materia, ecco perche ci si interroga sulla morte e che essa alla fine non convince, nel senso che con la morte l'anima continua a vivere perché di origine divina, e per un credente la morte è il momento più bello della vita, c'è lo ha insegnato Gesù quando ha sconfitto la morte.
Invece bisogna fare proprio più filosofia, perché sono stati i grandi filosofi ad insegnarci a pensare e a capire, come Platone, e che difficilmente si dimenticheranno le sue parole " Chi può sapere se il vivere non sia morire e il morire non sia vivere?"
Grazie Silvia.
Grazie a te Riccardo che con i tuoi scritti creativi, intimi riesci a proporre riflessioni intense, escatologiche importanti, anche in chiave dolcemente ironica.
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