Una lastra di alluminio affilata,
conficcata in una poltiglia di ciliegie.
Taglio il ciuffo alle montagne.
Preparo un decotto di ossa e cenere.
Preistoria del disincanto.
Dimmi che mi ami su questa vasta Terra,
di vertigine in vertigine,
con nebulose al seguito, e il sangue
delle pietre negli occhi,
tanto il sole ci divora, in una vampa
inumana, in una febbre di limpidezza,
so tutto, dalla setola a Mozart,
dal cimiero all'encausto,
e m'infango, e muoio, crepo, non
come uomo, organismo delirante,
ma come umanità, relitto cosmico
tra l'Anatolia e il tuo cuore,
gli angeli corrotti delle nostre viscere,
amarci è bestemmia, sussurrata
ai fiori, alle radici, all'enigma
denudato.
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