lunedì 17 novembre 2014

MEDEA (Francesca Aurelio) su LA VOCE RECITANTE

Le voci. Quelle di dentro. Quelle di fuori. Un tramite fra l'inizio e l'abisso. Il cambiamento della voragine in luce. La comunicazione. 
Gli aedi raccontavano d'Achille e ci hanno persino rivelato che l'eroe ha pianto; la Merini parlava con gli angeli
 e quasi ci ha convinti che fossero di carne. Il miracolo delle voci.
Poi c'è l'azione. C'è l'uomo che può essere altro rispetto a se stesso. E lo fa per vocazione. Per sopravvivenza. Annaspando. Ingannandosi, onestamente, un giorno dopo l'altro.
Poi c'è l'attore. Che rimugina. Piange. Lamenta. Geme. Rifiuta. Entra. E si lascia penetrare. Inventa. Per partorire. E può partorire un figlio,un mostro,un tribunale, dio. Egli,al di sopra del figlio, del mostro, del tribunale, di dio, partorisce.
Poi c'è la fragilità. La solitudine. L'incomunicabilitá del comunicatore. Il confine è, spesso, talmente impercettibile da sembrare inesistente.
Nicola è un granito sfaccetato, che, in alcuni momenti, sembra stia sul punto di diventare oro liquido. Sembra nascere da lui una sorta di odore d'oriente e d'occidente, mesciuto a quello dolce della cattiveria dei santi. Nicola è uno scrigno, solo i mostri possono berne la musica e raccontare le volute del vento tra le sue lenzuola stese al sole. 
Severino è il ghigno di un tripudio che è stato. È un contenitore di personaggi e sogni. Sulla sua pelle sono roventi ancora i fuochi delle sete e dei broccati, dei velluti e delle organze che l'hanno bruciato. 
Severino recita a Zeus pluvio la sua preghiera, nell'incantesimo di una notte di umidori secreti. É come se baciasse le palpebre della terra, ove si spengono le luci dei lampioni. Capelli scarmigliati e voci piene, carnose, carnali. La sua risata di vampiro inquieta. Come i suoi occhi corazzati. L'uomo dal fiore in bocca, col suo male dentro, forse stavolta poteva redimerci. Ma dietro la macchina da presa c'è chi mi scompone letterature e giorni, come alambicco dei desideri indicibili. 
Resta un senso inafferabile d'amore in bocca, questa volta. Forse un pò di malinconia. Che è detersa dalla bellezza. Lo sguardo di Farina in questo film è la cannella sopra il cioccolato.
Farina è osceno. Il suo cinema è fare l'amore nei giardini di un obitorio. Leccare l'anima di un demone e sentire la vita spinare...mentre dorme la morte. Farina è schifosamente fedele alla sostanza e trema, trema, davanti alla forma...egli è un alchimista e...schiaffeggia l'esistenza con i fiori.