martedì 18 novembre 2014

ORAZIO POLI

PERIFERIA
Ho visto la periferia, coltivazione di fantasmi
dal doppio spavento,
ho visto la periferia nel dilagare
dei vicoli espansi,
diffusi come sfogo spagnolo.
Ho toccato le periferie, giallognole e amare, ascorbiche e citrate.
Qui le rose sono di gas, rose annoiate di essere solo
rose, volevano ballare sulla carovana
di flauti carezzanti, spregevoli stelle.
Ho fiutato la decomposizione di quei midolli di pattume
e ressa,
non scivolandoci, non staccandone l'ala lieta,
come falena misericordiosa.
Lì seduti, peschi dal sesso pigmentato,
si stringevano, i vecchi.
Erano trichechi bonari,
in mano una carta,
una mappa che tu non sai.
Qualche lavandaia diretta con l'aria di ramazza
appena conquistata malediva la sorte,
la sorte così comune,
così popolare, qui dove le industrie
sono ambivalente equazione
fra tappeti di catrame e setacci danarosi.
Ho visto la periferia. Era una bolla siglata dal fango.
Ho visto la periferia, sembrava la stanza
di un malato prossimo al testamento.
E testamento sono le sue scuole dalle pagelle sciatte
e testamento sono le chiese con sagrati prospicienti alla
mendicità, urne marmoree
di un Gesù circuìto,
urne marmoree di salmi infuocati,
barattando jeans e cellulari,
barattando il solo codice che vale,
quello del più astuto.
Campagna di condomini, campagna di porticati
dove i mughetti divengono legione spinosa,
legione di cardi coriacei, e per quelle sane rovine,
dove la gente piange e per questa terra ove i maiali
restano a dondolarsi come cimici,
io sciolsi al vento un esile foulard,
un esile singhiozzo candido e afflitto.
Intenerisce pensare il futuro, coniuge nitrente
di uno stallone che ha perso la stalla.
Ora questa stalla, pattuglie virali la sminuzzano,
i denti. affondano come temperini taglienti,
sadici nella loro viltà velata.
Melograno che piomba al suolo,
rancido come catafalco, abete sfoltito dalla perizia del boscaiolo,
indifferente e sereno, mentre sradica i tuberi.
Ho visto la periferia in una locusta fumigolante.
Ho visto la periferia dentro i vetri asfissiati.
Cresceranno altre torri sulle vostre apparenze,
cresceranno altre fortificazioni sui rami minori
di ogni vostra smorfia.
E quei calzoni rattoppati dai gridi d'una madre,
appartata nei ferri e nelle calze, sono tuoi,
sono tuoi come genesi di tribolazioni mai discusse,
mai parificate.
Alza quel tuo dito bimba e forse l'edera scodinzolerà
sul tuo cappotto adatto ai fulmini,
già qui bisogna avere sesso di radica
o di acciaio saldato.











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