martedì 18 novembre 2014

PREFAZIONE DI AGOSTI ALLE POESIE DI POLI


Caro Orazio,
vorrei che tutti ti amassero come t'ho amato io quella sera, in cui sei entrato trafelato nel cinema Azzurro Scipioni.
Ti sei avvicinato, hai chiesto se volevo sentire una tua poesia.
Nei suoni della tua voce roca ho gustato il tuo essere poeta prima che uomo, il tuo vivere la poesia prima an­cora della vita stessa.
Le tue rime sono melodie chimiche. Accostamenti ver­bali rari, mai uditi prima, o forse in qualche brano felice di Maiakowskj, nei deliri di Rimbaud e in qualche frammento di poeticità indiana.
Le tue invettive verso una umanità che dici di non amare, ma cui segretamente aspiri, come risposta a un disamore che ti protegga dalla delusione.
Mi hai confidato che nei tuoi sogni delicati, vorresti costruire la macchina per annullare il tempo. Un'invenzione che miracolosamente cancelli le tracce degli anni trascorsi.
Invano tenterai di costruirla, perché quella macchina meravigliosa e magica sei tu: il poeta.
Non credo che questo ingrato Paese saprà mai ri­conoscerti nella tua vera statura. Le tue piccole cattedrali verbali vagheranno tra menti inschiavite dalla fretta e dalla morte.
Eppure sono certo, che in questa terra, dopo Leopardi, siano pochi i poeti così rari e inconsapevoli.
Ma il mondo ti esclude, come se la vita fosse sempre altrove.
Come se tu, nella tua innocenza, non fossi che un banale errore biologico: un poeta, appunto.
Vieni pure ogni sera al cinema.
Porta il tepore del tuo talento e della tua follia. Chissà che non renda immortale anche me.
Silvano Agosti

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