Sul treno per Lugano ci hanno chiesto i documenti, erano tre guardie
di confine con guanti di lattice bianchi. Forse li usano per rovistare nel
culo degli esseri umani, non so, il solo pensiero mi fa rabbrividire ma
non di piacere, non ancora almeno. Avevamo solo la patente, io ho anche
proposto timidamente la tessera sanitaria, divento molto docile quando
una guardia di confine ha i guanti di lattice, per fortuna il volto di chi ci
ha chiesto i documenti era un volto da cinema francese, sarebbe stato
perfetto in un film di Melville. Ed è stato comprensivo, ci ha domandato
con un sorriso "siete fratelli?", ovviamente abbiamo risposto di sì.
Così abbiamo potuto raggiungere nostro zio Dario che ci ha offerto un
bel pranzetto in un ristorante di Lugano. Dario è tormentato da forti
dolori alla schiena, inconvenienti del tempo che passa sul corpo senza
alcuna pietà. Ma è sempre energico, generoso, ci mette dei soldi
in tasca ogni volta che lo vediamo, e noi facciamo finta di rifiutare.
Questo è il suo modo per dirci che ci vuole bene. Poi ci ha dato una
grossa valigia piena di camicie, giacche e pantaloni che lui non mette
più perché gli vanno stretti. Gli sta tornando la voglia di comporre, ha
scritto un pezzo che ha proposto a Bocelli (per Bocelli ha composto
anni fa un pezzo molto bello) e Bocelli pare che abbia gradito, lo
chiama sempre maestro le poche volte che si incontrano, Bocelli
chiama maestro mio zio, non il contrario. E forse un suo vecchio
sogno di un musical su Don Camillo e Peppone andrà in porto.
Gli ho detto che allo stadio Meazza i tifosi del Milan cantano ogni
domenica Sarà perché ti amo (insieme a Felicità il suo più grande
successo) e lui si è quasi commosso. Poi ci siamo abbracciati, ed
è stato come abbracciare nostro papà che non c'è più, la genetica
è una cosa meravigliosa. Al ritorno io leggevo l'autobiografia di
Dario Argento e Robi divorava con gli occhi Per chi suona la campana.
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