Un uomo vero. Con la sua maturità infantile dice la Verità alla donna che ama. E' un'ironica sfida al qualunquismo questo film. Si tende a fare spesso generalizzazioni:"la donna matura prima"; "gli uomini sono bambini"; "i maschi sono bastardi"; "le donne sono puttane". Qui tutto questo viene sdoganato una volta per tutte e in chiave assolutamente inaspettata. Quel biberon è il bisogno di tornare all'accoglienza. La donna che si ama è totalità: femmina, amata, amante, madre. Madre. In questo mondo teocentrico, “riccardocentrico”, voglio dirlo, Valeria somiglia a Milena. Persino nei suoi tratti somatici. Il volto di Valeria mi ricorda quello di Milena: l'ho sempre detto. E Riccardo non si staccherà mai da Milena. Perchè in Milena c'è Valeria. E non si staccherà da Valeria. Perchè in Valeria c'è Milena. Sembra un gatto che si morde la coda. E invece è il grande mistero dell'esistere. Dell'amore. Cosa si cerca nell'altro? Forse ciò che ci appartiene? O ciò che vorremmo non ci scivolasse mai di mano? O forse quello che desideriamo in un perpetuum che per quanto ci spaventi, tanto ci da serenità? Il biberon è simbolico. Una sorta di εἴδωλον di un simbolismo ambiguo. Che unisce il principio maschile e quello femminile. Forse il biberon è la perfezione del mito platonico dell'androgino: se l'androgino moderno fosse il biberon? E' un capezzolo con forma fallica annessa. E diventa per il bambino, come per "un uomo vero", una specie di coperta di Linus: un uomo con la barba che succhia un biberon è a dire un figlio mai svezzato, ma anche un uomo sessuale. Sessuale. I seni di madre si fanno seni di donna. Ed entrambi legati alla sessualità di un Priapo folle, fedele a sè stesso. Che non ha conosciuto la contaminazione di sterili pudori culturali di matrice moraleggiante e segue la sola legge del suo sentire. Vero amans amens, vero folle Dioniso, di un dionisismo purissimo e scevro di ogni perversione, di ogni moderno artificio “scandalesco”. La voce. La mancanza della voce. Ci ho pensato più e più volte. Quando ci manca qualcuno perché diciamo che ci manca? Cosa ci manca? E’ così personale. A me mancano le mani per esempio. Anzi, per esser cavillosa, mi mancano i polpastrelli. Perché la sensazione più bella che ho provato è stato sentire i polpastrelli di chi amo sulle mie labbra e quella levità di suono di una mia ciocca di capelli carezzata da quelle dita in marzo. La voce continuo a cercarla. E mi batte il cuore tutte le volte che un accento, una cadenza, un’intonazione mi riporta a lui. “Volevo solo sentire la tua voce”, per elemosinare amore. E’ un film stupendo. Quel primo pianto stretto è una frenesia: sfida l’anima dello spettatore: egli dimentica le parole che si snodano in quel dialogo-monologo e si lascia andare alla mimica di quel volto. Terribile e meraviglioso. Il biberon davanti ad un’eruzione vulcanica è il senso tutto della Verità: nessuna apocalisse potrebbe abbatterla. La Verità che ci abita dentro sopravvivrà a noi. Unico “tempo vivo” della morte. Unico. E incontrastabile. Ora ne ho la certezza. Grazie, Riccardo.
Come al solito le tue "analisi allucinate" illuminano il mio lavoro...perché, tu lo sai, non diciamolo a nessuno, ma io sto lavorando, anche se pochi lo capiscono.
Caro Ricky, il nostro non è un lavoro, questa parola è troppo piccola e banale per esprimere quello che facciamo veramente. La nostra è una missione. Ad entrambi piace la posizione del missionario. Roy
4 commenti:
Un uomo vero. Con la sua maturità infantile dice la Verità alla donna che ama.
E' un'ironica sfida al qualunquismo questo film. Si tende a fare spesso generalizzazioni:"la donna matura prima"; "gli uomini sono bambini"; "i maschi sono bastardi"; "le donne sono puttane".
Qui tutto questo viene sdoganato una volta per tutte e in chiave assolutamente inaspettata.
Quel biberon è il bisogno di tornare all'accoglienza. La donna che si ama è totalità: femmina, amata, amante, madre. Madre.
In questo mondo teocentrico, “riccardocentrico”, voglio dirlo, Valeria somiglia a Milena. Persino nei suoi tratti somatici. Il volto di Valeria mi ricorda quello di Milena: l'ho sempre detto. E Riccardo non si staccherà mai da Milena. Perchè in Milena c'è Valeria. E non si staccherà da Valeria. Perchè in Valeria c'è Milena.
Sembra un gatto che si morde la coda. E invece è il grande mistero dell'esistere. Dell'amore.
Cosa si cerca nell'altro? Forse ciò che ci appartiene? O ciò che vorremmo non ci scivolasse mai di mano? O forse quello che desideriamo in un perpetuum che per quanto ci spaventi, tanto ci da serenità?
Il biberon è simbolico. Una sorta di εἴδωλον di un simbolismo ambiguo. Che unisce il principio maschile e quello femminile. Forse il biberon è la perfezione del mito platonico dell'androgino: se l'androgino moderno fosse il biberon? E' un capezzolo con forma fallica annessa. E diventa per il bambino, come per "un uomo vero", una specie di coperta di Linus: un uomo con la barba che succhia un biberon è a dire un figlio mai svezzato, ma anche un uomo sessuale. Sessuale. I seni di madre si fanno seni di donna. Ed entrambi legati alla sessualità di un Priapo folle, fedele a sè stesso. Che non ha conosciuto la contaminazione di sterili pudori culturali di matrice moraleggiante e segue la sola legge del suo sentire. Vero amans amens, vero folle Dioniso, di un dionisismo purissimo e scevro di ogni perversione, di ogni moderno artificio “scandalesco”.
La voce. La mancanza della voce. Ci ho pensato più e più volte. Quando ci manca qualcuno perché diciamo che ci manca? Cosa ci manca? E’ così personale.
A me mancano le mani per esempio. Anzi, per esser cavillosa, mi mancano i polpastrelli. Perché la sensazione più bella che ho provato è stato sentire i polpastrelli di chi amo sulle mie labbra e quella levità di suono di una mia ciocca di capelli carezzata da quelle dita in marzo.
La voce continuo a cercarla. E mi batte il cuore tutte le volte che un accento, una cadenza, un’intonazione mi riporta a lui. “Volevo solo sentire la tua voce”, per elemosinare amore.
E’ un film stupendo. Quel primo pianto stretto è una frenesia: sfida l’anima dello spettatore: egli dimentica le parole che si snodano in quel dialogo-monologo e si lascia andare alla mimica di quel volto. Terribile e meraviglioso.
Il biberon davanti ad un’eruzione vulcanica è il senso tutto della Verità: nessuna apocalisse potrebbe abbatterla. La Verità che ci abita dentro sopravvivrà a noi. Unico “tempo vivo” della morte. Unico. E incontrastabile. Ora ne ho la certezza.
Grazie, Riccardo.
Come al solito le tue "analisi allucinate" illuminano il mio lavoro...perché, tu lo sai, non diciamolo a nessuno, ma io sto lavorando, anche se pochi lo capiscono.
Caro Ricky, il nostro non è un lavoro, questa parola è troppo piccola e banale per esprimere quello che facciamo veramente.
La nostra è una missione.
Ad entrambi piace la posizione del missionario.
Roy
Hai ragione Roy, una missione e anche una emissione di vita e amore...e non di gas venefici.
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