Mi accingo a scrivere una superstranissima poesia.
Ho le viscere appese al lampadario, ma non ho il
lampadario. Ho il cuore trafficato dal niente ma non
ho nemmeno il niente. Mi fa male essere me stesso.
Ma è un filo spinato che sgocciola miele. La mia mente
è altrove. Fila, scorre, sguscia, e avvampa lontano.
Il corpo è stretto, troppo stretto, carnalmente crudele.
E vorrei una brocca d'acqua azzurra in cui annegare
l'oblio. E vorrei pallidi vulcani a irrigare di latte l'arida
terra della memoria. Mi fa male essere me stesso.
Al posto del cuore ho un rantolo rosso. E le tende di
casa ignorano le finestre. E la polvere sotto il tappeto
sogna isole tropicali. Ma posso ancora sorridere.
Non so perché, posso ancora sorridere. Prendo una
cartina geografica, la brucio, mi sento un dio.
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