Non tradire mai il mare": Vittorio mi disse così un giorno d'estate, mentre assieme fumavamo l'ultima sigaretta, tra una lettura e l'altra, davanti ai seni nudi della donna che amava sdraiata sulla spiaggia davanti a noi. Ho prestato fede a quel consiglio. Non l'ho mai dimenticato.
Un giorno, poi, quand'era inverno, Dio, passando qui per caso, ha rimproverato il mio lamento. Era un lamento d'amore. Era -forse- il canto del cigno.
Il mare ha ricompensato il rimprovero di Dio alla sua strega: ha mostrato il suo volto migliore, quello dei misteri. Quello che più somiglia all'abisso. Il volto che più permette a Dio di specchiarsi nel mare. Forse persino di ingannarlo. I colori, il vento. I respiri. Ora affannati. Ora taciti. Ora blasfemi. Perchè l'alito del mare è simile a sacrilega bestemmia: è un peccato di inebriante catarsi. La bestemmia del mare è sempre il ritorno. Scandito dai continui naufragi sferici. Dal furibondo culto dei morti prigionieri di irrevocabili dissidi delle aurore. Dio davanti al mare è l'epopea della Bellezza. Osservarli da lontano, l'uno dinanzi all'altro, è stato perdermi. Rischiare di non ritrovarmi. Lo smarrimento era già un pallido ricordo: è stato varcare soglie di insondabile chimera, presa per la coda e tenuta stretta tra le mani nude. E' stato come un salto nel vuoto: Dio davanti al mare è trafiggere le caviglie ai buchi neri; è strappare la luce alla medusa. E' godere dell'amplesso degli amanti, delle loro bizzarrie selvagge e mal riposte.
Vedermi osservata da Dio è tra i miei tabù di pudicizia. All'improvviso mi sento piena di ogni nudità. Posso persino toccare Dio, star dinanzi a lui, godere dei suoi serissimi capricci: ma, quando lui mi guarda, io mi sento nuda, come le radici dell'agave che piange quando è l'ora del tramonto; mi sento nuda come la verità che lui mi strappa, dolcemente, come una carezza alla quale nemmeno il destino, austero e ineluttabile, saprebbe rinunciare. Mi sento una pitonessa smembrata dai suoi veleni migliori.
C'è la non accettazione.Il peccato del rigetto. Il continuo vomitarsi. Il perpetuo ricorrere ai passi falsi di inutili giustificazioni che soccombono dinanzi al minimo barlume del senso di colpa. C'è il cercare i ritorni. C'è il congelamento dell'addio. C'è la sublime vergogna delle contraddizioni.
C'è che poi ci si vede senza difese, pronta a lottare, in fondo, per non difendere il proprio mare. Ci sono i nascondimenti variopinti delle lacrime entro le stanze ove la musica si insuperbisce e vince la tempesta, la disperazione e ciò che induce a rassegnarsi.
C'è un uomo che è un grande segreto, il più monumentale dei misteri che io abbia avuto modo di contemplare, e mi osserva, con le pupille gustative che amano le superfici, i graffi, gli incubi e le nature vive.
C'è un uomo che voleva portarmi via il sole. E lui non sa che possiede molto più della stella che è precipitata. E' l'unico che possiede l'incanto che non ho mai inventato. E' l'unico depositario di un margine di corallo sopra il cuore: nessuno può inciderlo mai. Nessuno può strapparlo. Neanche il virtuosismo demoniaco delle follie volgari.
Nelle plurali mie deformità, per una frazione di secondo, forse ho saputo scorgere, mediante gli occhi tuoi, il flebile ricordo di una bellezza antica. Quella che esisteva prima della caduta. Prima che le madri capovolgessero i figli come aborti e patetici sbadigli di un sorriso. E ti devo ringraziare. Goffamente. Come una fanciulla senza modi che è prigioniera della delinquenza di veli e delle notti insonni.
Un giorno, poi, quand'era inverno, Dio, passando qui per caso, ha rimproverato il mio lamento. Era un lamento d'amore. Era -forse- il canto del cigno.
Il mare ha ricompensato il rimprovero di Dio alla sua strega: ha mostrato il suo volto migliore, quello dei misteri. Quello che più somiglia all'abisso. Il volto che più permette a Dio di specchiarsi nel mare. Forse persino di ingannarlo. I colori, il vento. I respiri. Ora affannati. Ora taciti. Ora blasfemi. Perchè l'alito del mare è simile a sacrilega bestemmia: è un peccato di inebriante catarsi. La bestemmia del mare è sempre il ritorno. Scandito dai continui naufragi sferici. Dal furibondo culto dei morti prigionieri di irrevocabili dissidi delle aurore. Dio davanti al mare è l'epopea della Bellezza. Osservarli da lontano, l'uno dinanzi all'altro, è stato perdermi. Rischiare di non ritrovarmi. Lo smarrimento era già un pallido ricordo: è stato varcare soglie di insondabile chimera, presa per la coda e tenuta stretta tra le mani nude. E' stato come un salto nel vuoto: Dio davanti al mare è trafiggere le caviglie ai buchi neri; è strappare la luce alla medusa. E' godere dell'amplesso degli amanti, delle loro bizzarrie selvagge e mal riposte.
Vedermi osservata da Dio è tra i miei tabù di pudicizia. All'improvviso mi sento piena di ogni nudità. Posso persino toccare Dio, star dinanzi a lui, godere dei suoi serissimi capricci: ma, quando lui mi guarda, io mi sento nuda, come le radici dell'agave che piange quando è l'ora del tramonto; mi sento nuda come la verità che lui mi strappa, dolcemente, come una carezza alla quale nemmeno il destino, austero e ineluttabile, saprebbe rinunciare. Mi sento una pitonessa smembrata dai suoi veleni migliori.
C'è la non accettazione.Il peccato del rigetto. Il continuo vomitarsi. Il perpetuo ricorrere ai passi falsi di inutili giustificazioni che soccombono dinanzi al minimo barlume del senso di colpa. C'è il cercare i ritorni. C'è il congelamento dell'addio. C'è la sublime vergogna delle contraddizioni.
C'è che poi ci si vede senza difese, pronta a lottare, in fondo, per non difendere il proprio mare. Ci sono i nascondimenti variopinti delle lacrime entro le stanze ove la musica si insuperbisce e vince la tempesta, la disperazione e ciò che induce a rassegnarsi.
C'è un uomo che è un grande segreto, il più monumentale dei misteri che io abbia avuto modo di contemplare, e mi osserva, con le pupille gustative che amano le superfici, i graffi, gli incubi e le nature vive.
C'è un uomo che voleva portarmi via il sole. E lui non sa che possiede molto più della stella che è precipitata. E' l'unico che possiede l'incanto che non ho mai inventato. E' l'unico depositario di un margine di corallo sopra il cuore: nessuno può inciderlo mai. Nessuno può strapparlo. Neanche il virtuosismo demoniaco delle follie volgari.
Nelle plurali mie deformità, per una frazione di secondo, forse ho saputo scorgere, mediante gli occhi tuoi, il flebile ricordo di una bellezza antica. Quella che esisteva prima della caduta. Prima che le madri capovolgessero i figli come aborti e patetici sbadigli di un sorriso. E ti devo ringraziare. Goffamente. Come una fanciulla senza modi che è prigioniera della delinquenza di veli e delle notti insonni.
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