sabato 21 gennaio 2012

PALADINO SGHEMBO

4 commenti:

Anonimo ha detto...

Inizia la notte. Mi sveglio intorpidita dalla paura. Non esiste riposo che valga contro gli spettri. Ho dormito due ore.
Trovo una stregoneria. Allontana l’incubo che mi ha svegliata: il tuo nuovo film. Lo aspettavo. Curiosa. Dopo aver cercato il soggetto: sapevo che avresti aggiunto una perla e non conoscevo chi fosse il poeta al quale avevi “promesso un ritratto”.
Nulla, quasi nulla ho trovato. Qualche notizia qui e là. Un titolo: “Io guardo il mare” e una citazione: “Aprite il cassetto, levatevi le mutande e tirate fuori il glande del corpo e dell’anima”.
Leggo, rileggo e aspetto. Da qualche giorno aspetto.
Mi faccio domande. Fantastico su un poeta dal nome bizzarro, ambiguo, che suscita facilmente forse ilarità. Nicolino Pompa.
Mi sveglio dall’incubo. Vuol dire che sono viva. Che ho solo sognato. Trovo il tuo film online. Mi fermo. Eccolo. E’ lui. E’ il poeta.
Guardo il film. Lo riguardo. E ti scrivo un sms. Non mi trattengo. Non mi aspetto risposta. Arriva invece la soluzione: il segreto che ti chiedevo di rivelarmi. Quello che ti abita da sempre. Quello che ho trovato in te la prima volta che ho visto un tuo film. Ormai quasi tre anni fa.
Il primo film che vidi fu Alda Merini. Per mesi continuai a rivedere quel ritratto. Mi incuriosiva. Mi incuriosivi. Poi approdai su facebook. Colpa del mio migliore amico. Cercai Ricky Farina. Lo trovai sul social network. Non potevo crederci. Chiesi l’iscrizione. Curiosavo. Timida.
Passavano i giorni e non mi spiegavo chi fosse quel fachiro. Vinsi la mia timidezza. Commentai. Da lì partì tutto.
E arrivò la primavera a Milano. Un percorso dell’anima.
Perché accadono di quegli incontri che nobilitano, tirando fuori da noi qualcosa che esiste e che è rimasto coperto dal fango creaturale che ci ha fatti carne. Accadono di quegli incontri che ti fanno sentire che somigli a te stessa. Nonostante tutto. Accadono di quegli incontri nei quali ti riconosci e resti in silenzio per ascoltare.
Ascoltando, ti ascolti. All’improvviso.
[...]

Anonimo ha detto...

[...]
E scopri che a lungo sei rimasta sorda perché nessuno ti ha permesso di ascoltarti. Ascolti la tua musica mediante la voce di un essere straordinario che ti si siede vicino e si racconta. C’è il sole e sta nevicando. Piove e piovono i colori di mille aquiloni.
Stanotte mi hai regalato un grande film. Uno dei tuoi più belli. Non saprei quali scegliere. Li amo tutti. In maniera così grande. In maniera così diversa. Ma questo è senza dubbio uno di quelli che sceglierei se dovessi parlare di te al figlio che non avrò.
Nicolino Pompa, i suoi occhi. Il suo volto. Il suo stupore.
Suo padre. “La ragione è quella che eventualmente ci daranno, non è quella che abbiamo”. Il “calice” che si “è bevuto tutto da solo” e che quel padre gli ha riconosciuto è il suo orgoglio di essere figlio; è il suo esempio di essere padre. I giochi di un padre col figlio. La complicità trovata ad un passo dalla morte.
La morte.
Nicolino fa il “poesista”… e non va alle feste. Conosce l’amore. E conosce la morte: ha gli occhi neri e si lascia presagire. Qualche volta. Se si ama. E, se si ama, la morte la si può salutare. Con una stretta di mano. Da buoni amici, in fondo.
“Credo solo che la morte sia un momento fondamentale dell’esistenza”, nonostante la coscienza che “L’assenza è un assedio”.
La morte e il possesso. La morte e la vanità. La morte e la potenza di accettarla come carattere dell’esistere.
“Io a vent’anni ero troppo mortificato”: le lacrime. Gli occhi lucidi. E il pane buono. Da mangiare. Cibo succulento. Di “un’anima incarnata” che plana con la leggerezza di un gabbiano in volo. Con la libertà che è propria della sacralità che ha cucita addosso. Nel “glande del corpo e dell’anima”
“Insomma sono un uomo felice. Come non avrei mai sperato di poter essere”. E poi si inchina alla bellezza di quell’ordine sparso che è il cosmo.
Sono immersa nell’incanto. Per lui. Per i suoi non segreti. Per quel volo finale. Che non è casuale.
Ti scrivo. E mi dai la soluzione. La tua parola d’ordine. E ora forse il mondo mi accetta un po’. Perché esisti tu. Perché esiste lui. Perchè sono commossa e hai vinto il freddo. Hai svegliato quel vulcano sommerso che è il mio precipizio e mi ha ingoiata. Mi hai data in pasto alla ferocia. E non so morire.
Stanotte mi hai insegnato a morire. E non posso che morire di questa umanità.
Ho una stima sconfinata per te. Ho un’umanissima abissale passione per te. Vorrei rubarti a me per un po’. Lasciare che tutti gli esseri umani possano vedere il visibilio che sei… e poi… e poi varcare la soglia dello scrigno stregato dove è il tuo cuore ed ascoltarne, in silenzio, la musica ancestrale.

Anonimo ha detto...

Sei il Leopardi dell'attimo, l'Eminescu dell'immagine. Altro non so dire: forse genio, ma è pochezza!
Falegname, ecco!, sì: falegname d'emozioni!
...Con stima

rickyfarina ha detto...

ciao Giovanni, non credere di cavartela con questi complimenti, un giorno tocca anche a te il ritratto,
mi piace troppo l'idea di un poeta che gestisce un albergo...un abbraccio