mercoledì 17 agosto 2011

L'UOMO SOSPESO

1 commento:

Anonimo ha detto...

La prima sensazione che provo è l’inquietudine, seguita da un abissale turbamento indecifrabile dinanzi a quella stabile eterna sospensione. E’ un film costruito su una specie di risanamento dei contrari: leggerezza delle sospensioni/pesantezza dei materiali; raccoglimento nella quiete/frastuono della città; l’uno/il molteplice; l’essenza/la materia; e ancora l’arte/la concretezza della quotidianità accanto alla carne viva contrapposta al corpo fermato nell’opera.
La prima scultura, l’uomo e la donna nella libreria, mi fa pensare all’Ode sull’urna greca di Keats, ai gesti “immortalati” nell’urna…e mai compiuti, perché fermati nell’atto di compiersi. Qui è fermato nell’atto di compiersi un combattimento: a dire che l’amore è un perenne stato d’assedio, un corpo a corpo da combattere a pugni chiusi e con i piedi che barcollano sempre sull’orlo del precipizio. E quel pugno chiuso dell’uomo - del maschio – proiettato per sempre a colpire le voragini più impenetrabili eppure da sempre più violate della femmina, che invece ha smesso di difendersi, è ossessivo per me: i pugni di lei però sono dietro le spalle, poiché protesa per natura comunque all’accoglienza. Del resto, per parafrasare Medea, la donna inorridisce alla vista di un’arma, ma sa essere spietata e madre al tempo stesso.
Poi è la volta degli uomini-guerrieri appesi ad un cavo d’acciaio, che rappresenta la sfida alla forza di gravità e alle vertigini del proprio io. Quanta sospesa sofferenza generano le braccia di quell’anthropos capovolto: cerca di abbracciarsi e invece precipita (o vola, chissà). Sono sculture che claustrofobicamente inneggiano ad un “folle volo” nel Nulla e il mondo fuori, fatto di forni elettrici, di aspirapolvere, di carta straccia e di colori sembra una pattumiera, solo una pattumiera nella quale l’artista va a “recuperare” pezzi di un passaggio e pezzi di esistenze. Ogni recupero è reliquia di un’ora morta.
“Per salvare il negativo si spacca il positivo”: sembra la metafora del modus vivendi di chi ha perso la speranza. E’ la metafora dei tempi moderni. E’ la metafora della contemporaneità. L’essenziale s’è perduto e hanno costruito le camere a gas.
L’uomo sospeso è fascinoso. Ma in me genera la voglia di osservare con distacco. Perché ne colgo solo sfumature. Non si da. Si risparmia. E io ho una sorta di soggezione.
E’ un film magnifico. Adoro quel modo tutto fariniano di cogliere la casualità. I passanti non sono mai comparse, sono ombre o riflessi: questo è uno di quei punti che ti rende inconfondibile perché dai identità a ciò che gli altri fanno scontato. Come tratto estremamente, sanguignamente fariniano è l’arte del contrasto: quell’indugiare sulla gamba umana sospesa, la carne umana, la carnalità per riprendere dalla scultura così fredda e disumana. Come il concludere con la “sospensione dei giusti”, l’allegra spensieratezza dei bambini che aspirano a volare sull’altalena. A piedi nudi. Senza farneticazioni, né sovrastrutture. Veri. Come vero è il loro slancio a vivere. Senza la paura che invece ci attanaglia. Giusto per sentirci vivi.
Sei terribilmente, irresistibilmente nobile. Quanto mi mancava un nuovo film!
M.