“Far poesie è come far l’amore: non si saprà mai se la propria gioia è condivisa”: un incipit che non può non sedurmi. La candela fariniana accesa: perché dio ha un rito tutto suo e quando legge le poesie accende una candela. Questa è una delle cose di questo “dio casalingo”che innamora ogni mattina e fino all’alba successiva. E poi ancora. Fino a dimenticare il tempo. Le fandonie e le menzogne sono carta straccia: la poesia soltanto è verità. Le bugie si dilatano, lievitano, a dismisura… mentre la poesia è ferma. Reale. Concreta. E nemmeno la luce tremula della candela le fa venire le vertigini. Non ha paura, né è disorientata. E’ l’eternità di dio. Gli occhi ammaliatori di dio, gli occhi mostruosi, la dimora del suo cervello e la sua bocca: non c’è parte di dio che si celi nella segretezza. Il suo Segreto impenetrabile è nelle sue domande continue, in quel fervore di sapere che insinua e innesca la ricerca… e ti affligge con la sua morbosa curiosità: lui scruta e tu, sua vestale, vuoi scrutarlo a tua volta. Ogni verbo è una domanda; ogni sua parola un rebus. Si presenta: polvere e ombre egli governa e assieme gli abissi cavernosi nei quali passeggia, titanicamente. Ama ciò che è “spiegazzato”: in ogni piega un interrogativo; è il dio del suo proprio passato, che ha cucito addosso: origine, radice, genesi; il “dio della messa a fuoco”: solo a lui appartiene, perché solo lui leva le maschere per fare indossare il volto e non è citazione pirandelliana, è fariniano modus operandi; è un “dio con gli occhi rossi, un dio che ha pianto”: in questo dio si ritrova la propria immagine e la propria somiglianza; è un dio da guardare con lo sguardo “bagnato nelle tenebre” e non smettere di farlo anche se lui te lo imponesse: dalla contemplazione insidiosa alla sublimazione nell’estasi di ammirarlo. Si tratta di divinità pagana, porta allo straniamento, persino al silenzio; dall’esaltazione al morbo. Dalla mania all’ossessione. Dalla resurrezione alla disperazione: “Sono il dio delle resurrezioni terminali”!(punto di esclamazione). E’ il dio dei coiti interrotti, dell’infinito. Della sospensione. Dell’attesa. E’ un dio che morirà e questo lo rende unico, onnipotente, perfetto nella sua infinitezza. Perché è un dio in divenire. Non finito mai. Soggetto alla consecutio temporum della propria anima. “Sono un dio fortunato: mi sono sempre trovato tra due fuochi, ma nelle giornate di pioggia”. Si. Perché è un dio che infiamma le sue ancelle, innamora le vestali e disancora da sé stesse le megere… a volte brucia per autocombustione: il troppo amore è un eccesso. E non smette mai di ardere. Porta virus e febbri alte. A volte persino le convulsioni. Ma lui tutte queste cose le conosce bene: suo nemico è eros. Che lo consuma, “fin nell’intime midolla”. Deus amans. Atque amens.
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“Far poesie è come far l’amore: non si saprà mai se la propria gioia è condivisa”: un incipit che non può non sedurmi. La candela fariniana accesa: perché dio ha un rito tutto suo e quando legge le poesie accende una candela. Questa è una delle cose di questo “dio casalingo”che innamora ogni mattina e fino all’alba successiva. E poi ancora. Fino a dimenticare il tempo.
Le fandonie e le menzogne sono carta straccia: la poesia soltanto è verità. Le bugie si dilatano, lievitano, a dismisura… mentre la poesia è ferma. Reale. Concreta. E nemmeno la luce tremula della candela le fa venire le vertigini. Non ha paura, né è disorientata. E’ l’eternità di dio.
Gli occhi ammaliatori di dio, gli occhi mostruosi, la dimora del suo cervello e la sua bocca: non c’è parte di dio che si celi nella segretezza. Il suo Segreto impenetrabile è nelle sue domande continue, in quel fervore di sapere che insinua e innesca la ricerca… e ti affligge con la sua morbosa curiosità: lui scruta e tu, sua vestale, vuoi scrutarlo a tua volta. Ogni verbo è una domanda; ogni sua parola un rebus.
Si presenta: polvere e ombre egli governa e assieme gli abissi cavernosi nei quali passeggia, titanicamente. Ama ciò che è “spiegazzato”: in ogni piega un interrogativo; è il dio del suo proprio passato, che ha cucito addosso: origine, radice, genesi; il “dio della messa a fuoco”: solo a lui appartiene, perché solo lui leva le maschere per fare indossare il volto e non è citazione pirandelliana, è fariniano modus operandi; è un “dio con gli occhi rossi, un dio che ha pianto”: in questo dio si ritrova la propria immagine e la propria somiglianza; è un dio da guardare con lo sguardo “bagnato nelle tenebre” e non smettere di farlo anche se lui te lo imponesse: dalla contemplazione insidiosa alla sublimazione nell’estasi di ammirarlo.
Si tratta di divinità pagana, porta allo straniamento, persino al silenzio; dall’esaltazione al morbo. Dalla mania all’ossessione. Dalla resurrezione alla disperazione: “Sono il dio delle resurrezioni terminali”!(punto di esclamazione). E’ il dio dei coiti interrotti, dell’infinito. Della sospensione. Dell’attesa. E’ un dio che morirà e questo lo rende unico, onnipotente, perfetto nella sua infinitezza. Perché è un dio in divenire. Non finito mai. Soggetto alla consecutio temporum della propria anima.
“Sono un dio fortunato: mi sono sempre trovato tra due fuochi, ma nelle giornate di pioggia”. Si. Perché è un dio che infiamma le sue ancelle, innamora le vestali e disancora da sé stesse le megere… a volte brucia per autocombustione: il troppo amore è un eccesso. E non smette mai di ardere. Porta virus e febbri alte. A volte persino le convulsioni. Ma lui tutte queste cose le conosce bene: suo nemico è eros. Che lo consuma, “fin nell’intime midolla”. Deus amans. Atque amens.
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