sabato 24 ottobre 2020

L'umiltà di Philip Roth

 
Philip Roth e la sua umiltà. Dopo circa 50 anni di lavoro come scrittore
(25 romanzi, più altre cosette), decise di non scrivere più,
di appendere la famosa penna al famoso chiodo. E iniziò a
rileggere tutto quello che aveva scritto, lo fece con questa
domanda in corpo: "Ho perso il mio tempo? Ho sbagliato a
dedicare tutta la mia vita alla scrittura?". Uno dei più grandi
scrittori del nostro tempo aveva ancora questi dubbi sul valore
della sua opera. Che bello. A me piaceva sentirlo ridere, come
ridono bene gli scrittori! Certi scrittori, non tutti. Anche Bukowski
aveva un bel modo di ridere. Sono quelli che amano il sesso,
solo loro sanno ridere bene. Gli altri non ridono o ridono male.
La vita di uno scrittore non è eccitante, si vede un uomo che fissa
per molte ore una macchina per scrivere con dentro un foglio
bianco, così diceva Roth della propria vita, ma in fondo non era
proprio così, visti da fuori possono apparire così, ma dentro,
nella testa di uno scrittore accade di tutto: è l'immaginazione che
ricrea il mondo a sua immagine e somiglianza. E poi basta un
soffio di vento, un taglio di luce e lo spettacolo inizia: lo scrittore
scrive, riscrive, cancella, e riscrive ancora, ed è vita, forse la
vera vita, l'unica che valga la pena di essere vissuta: la nostra.

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