Stamattina ho fatto colazione fuori
nel mio bar preferito dove fanno
il cappuccino con la cannella più buono
del mondo da me conosciuto.
Avevo il panama bianco sulla testa.
Mancavo da mesi e ho visto nel
volto della cameriera sfumature diverse,
nel suo modo di camminare c'era
una specie di sofferenza, forse la
stanchezza, forse un dolore nuovo.
C'è una banca vicino al bar, dietro
di me si è seduto un gruppetto di donne,
sicuramente delle bancarie, ho prestato
il mio orecchio abissale alle loro
chiacchiere di lavoro e di vacanze.
Era tutto un tripudio di "la qualunque",
"un attimino", "piuttosto che" e
"anche no". Ho avuto compassione
per loro. Chi usa queste espressioni
non può conoscere i fondali della vita.
Donne sicuramente in gamba, volitive,
madri premurose, mogli affettuose, con
le seratine di sushi chic nel cuore e i
viaggi fra le isole della Grecia, ma per
sempre condannate a vivere nell'attimino.
Allora ho capito perché il mondo ha
bisogno di poesia.
1 commento:
Io aggiungerei "pittosto che" e "quant'altro" facendone una fusione: "piuttosto che quant'altro".
Lo dico per stimolare "un attimino" l'attenzione di Ricky, perché se gli telefonassi dovremmo chiudere la chiamata con un "ciao ciao ciao ciao ciao..." e non mi piace.
D'altro canto siamo tutti connessi "h24", soprattutto i medici che devono dare retta alla loro "pazientela".
Mi ha fatto pensare una amica che non ricordo per quale ragione ha citato il "Kus Kus Klan". Ho concluso che la associazione citata debba essere una sorta di club di estimatori del cous cous, ma razzisti.
Per cui, siccome si è fatta "una certa" (ma una certa cosa?), mi congedo da Ricky augurandogli di non avere mai a che fare con quelle bancarie, onde evitare una qualsivoglia "sofferenza", perché per loro avrebbe un significato molto diverso da quello che intendiamo noi uomini di mondo.
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