giovedì 7 aprile 2011

TUCSON-LAMPEDUSA

Mi piacerebbe un giorno risvegliarmi a Tucson,
e fare colazione a Tucson, e uscire per le strade
di Tucson, e annegare le sorgenti della mia placida
indifferenza sotto il sole di Tucson. Vorrei diventare
un tucsoniano, con le mandibole squadrate e gli
occhi azzurri, e il passo felpato sui prati di Tucson.
Vorrei comprarmi un cappello a Tucson, e un paio
di stivali e un sigaro e avere una risata enorme, e
inondare di luce i misteri di Tucson, misteri meschini
che non hanno la forza di diventare enigmi.
Mi piacerebbe pattinare a Tucson, e sanguinare a
Tucson, per vedere se il sangue è rosso anche a
Tucson, e vorrei tanto fare l'amore a Tucson, vicino
a una birra gelata uscita da un frigorifero di Tucson.
A Tucson andrei dal dentista col sorriso sulle labbra.
A Tucson. A Tucson. A Tucson non si annega.
Nessuno è mai annegato a Tucson. A Tucson c'è Dio.
Dio vive in una bettola di Tucson. E ha il fiato di un
alcolizzato felice. Mi piacerebbe un giorno risvegliarmi
a Lampedusa e non essere un cadavere. Mi piacerebbe
essere un migrante vivo. A Lampedusa. Per poi andare
a Tucson a conoscere Dio, ma non ho i soldi per comprare
il biglietto, e mi devo accontentare di questo gemellaggio
surreale: Tucson-Lampedusa.

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