Ormai Inga aveva bisogno del sollevatore meccanico, Ada non aveva più la forza di alzarsi da sola
e di stare in piedi sulle proprie gambe. Ada era malata, Inga era la sua affezionata badante georgiana.
Per tutta la vita Ada si era dedicata agli altri: al marito, al figlio, al lavoro e ai nipoti, poi era rimasta
vedova in tarda età. Il destino volle regalarle un ultimo amore, un vecchio di nome Silano.
Questa relazione aveva raffreddato i rapporti con Morena, la sorella di Ada, perché Silano non
era certo un simpaticone "se questa estate vai a stare da tua sorella ti lascio, tu devi stare con me".
Vedere un vecchio geloso è uno spettacolo sublime e ridicolo al tempo stesso. Un giorno Ada
chiamò Morena al telefono "Sai che Silano è morto? Lo hanno trovato stamattina stecchito nel letto"
A Morena sfuggì un sorriso che Ada non vide, ma forse intuì. Dopo la morte di Silano i rapporti
tra le due sorelle ripresero il loro normale corso, non c'era più l'intruso di mezzo. Morena era
più giovane di 6 anni, Ada ora ne aveva 88, ed era precipitata di colpo nella vecchiaia, una serie
di malattie l'avevano stroncata: un infarto, un ictus, l'acqua nei polmoni. Ma era ancora viva e
non aveva perso il buonumore, Ada sorrideva della propria situazione, era come se guardasse la
la vecchiaia da fuori, come una spettatrice. A Morena si spezzava il cuore quando andava con i
suoi figli a trovare Ada, vedere la sua sorellina in quello stato era penoso per lei, ma i figli le
dicevano "mamma, la zia è in buone mani, Inga è straordinaria, e poi hai visto come si tengono
le mani? C'è dell'affetto tra di loro e questa è una cosa molto bella. La zia Ada sorride di se
stessa, non si lamenta, e quindi non devi essere così triste mamma, la tua sorellina sta vivendo
i suoi ultimi giorni con il senso dell'umorismo". Morena non voleva fare quella fine, era ancora
energica e quando guidava mandava a fanculo tutti, si raccomandava ai figli "se farò la fine di
Ada, dovete mettermi un cuscino sul volto, preferisco morire" "certo mamma, certo, come no".
Per Morena perdere l'autonomia era il più grande affronto che la vita potesse farle. Inga e Ada
si volevano bene, ogni tanto Inga preparava una specialità georgiana di cui Ada era golosa: il
caciapuri, una focaccia con il formaggio (tre tipi di mozzarella). Morena non riusciva a vedere
la segreta fanciullezza di Ada, intrappolata in queli occhi ridenti, vedeva solo il sollevatore meccanico
che l'alzava e la posava o sul divano o sulla sedia a rotelle, vedeva un corpo in balia di una
macchina, dove era finita la sua sorellina? Per lei era una pena indicibile e lo sguardo di Morena
si perdeva nel vuoto, forse era la paura di fare la stessa fine, forse era il suo amore ferito.
Solo i figli di Morena riuscivano ancora a vedere la bellezza: l'affetto tra Inga e Ada, una nata
in Georgia e l'altra a Firenze, una badante e una vecchia malata, i loro giorni vissuti tra mille
difficoltà, ma con tutta quella tenerezza che si manifestava quando Ada cercava la mano di
Inga, non la mano di sua sorella Morena. E poi quel sorriso ironico sul volto di Ada, quel
suo prendere le distanze anche da se stessa, come a dire "sorellina mia, io sono sempre la tua
Ada, non riesci a vederlo? Questo corpo malandato è solo la coda di tutta la mia vita, ma
io non sono questo corpo, non lo vedi sorellina mia? Non senti che i nostri giochi, le nostre
corse, i nostri amori sono ancora nei miei occhi ridenti? Tu vedi solo questo sollevatore
meccanico, sei diventata cieca, guarda bene Morena, prendi anche tu la mia mano come fa
Inga". Ma Morena soffriva, si sentiva tradita, la sua Ada era un corpo afflosciato su una
sedia, la sua amata sorella era l'ombra di se stessa e Morena aveva paura di quell'ombra che
sentiva anche su di sé, e ripeteva ai figli "quando sarò come Ada, voglio un cuscino sul volto".
"Certo mamma, come no mamma". Ada sorrideva quando il sollevatore meccanico l'alzava,
le sembrava di essere sopra la sua ultima altalena, anche quella era una strana giovinezza.
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