Memo Arpaia, un uomo di 49 anni, morì d'infarto una domenica mattina mentre si stava
lavando i denti con uno spazzolino rosso, la moglie Rosa era in cucina a preparare il caffè.
Avevano due figli: Benedetta e Cristoforo. I figli erano andati a Giacarta a tentare la
fortuna, avevano aperto una pasticceria siciliana che stava dando molte soddisfazioni.
Avvertiti dalla madre i figli presero il primo aereo per l'Italia. Memo venne cremato.
La sua anima si ritrovò in uno spazio bianco, ma stringeva ancora in quella che possiamo
definire una "mano eterea" lo spazzolino rosso. Pensò di trovarsi in paradiso, ma era
un paradiso strano, non c'era nulla, nulla di nulla, solo distese di bianco, un bianco atroce.
Solo lo spazzolino rosso sembrava esistere, nient'altro. Passò del tempo, forse 1300 anni,
ma è difficile quantificarlo o misurarlo perché nel bianco più assoluto si perde ogni
riferimento, ogni cognizione temporale. Memo iniziò a sentirsi a disagio, solo, era solo,
solo, con uno spazzolino rosso in mano, e attorno a lui il nulla più assoluto e radicale.
Pensò di trovarsi in una trappola energetica, non sapeva che cosa fare della propria vita
non vita, in quel paradiso non paradiso. A un certo punto pensò di essere all'inferno, ma
presto questo pensiero lo lasciò, all'inferno ci sono le fiamme, e almeno lo spazzolino
rosso avrebbe proiettato un'ombra da qualche parte, anche se non c'erano parti in quel
bianco atroce e dentistico. Si convinse di essere in una specie di sala d'attesa. E si fece
forza, pensò che doveva avere pazienza, molta pazienza. Passò altro tempo, forse 3000
anni, forse di più. Intanto sulla Terra una civiltà aliena aveva cambiato le regole del
gioco. Gli umani erano diventati schiavi psichici, gli alieni avevano inoculato nella
mente dell'umanità un pensiero, uno solo: il pensiero della sottomissione. Un giorno,
se di giorno si può parlare in una specie di imbuto eterno senza odori e senza suoni,
comparve un essere gelatinoso e azzurro davanti a Memo Arpaia, fu una grandissima
emozione, a Memo venne da piangere, il suo corpo etereo era tutto un brivido e lo
spazzolino rosso tremò nelle sue mani, lasciando cadere nel vuoto grumi di dentifricio
alla menta. L'ectoplasma gelatinoso sparì lasciando un biglietto di carta. Sì, avete
capito bene: carta. Forse oltre quel bianco atroce c'erano delle foreste. Memo si chinò
sul vuoto, prese il biglietto nella speranza di leggere un messaggio, delle parole, un
senso a tutto quel bianco che lo stava divorando, ma la carta era bianca, più bianca
del bianco nel quale si trovava ingoiato da tempo, tempo non decifrabile umanamente.
"Forse la morte è l'ingresso in una follia bianca e cosciente che non ha fine" pensò.
Ed ebbe un brivido di terrore. Allora si aggrappò mentalmente a quello spazzolino
rosso che lo aveva seguito nel devastante deserto bianco oltremorte. E riuscì a non
impazzire per almeno altri 4500 anni, ma poi, poi, Memo Arpaia iniziò a urlare.
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