Ho visto il film tre volte: la prima mi ha lasciata senza possibilità di proferire verbo,
Martin disarma; la seconda mi fatto precipitare addosso un'incredibile tenerezza,
Martin rabbonisce; la terza mi ha fatto ridere di me, Martin mi ha sputtanata agli occhi
di me stessa per le mie inettitudini.
I suoi travestimenti sono le sue profondissime ingenuità; le sue labbra segnate
sono i suoi sublimi segreti; i suoi occhi diversi sono il suo portentoso distacco.
Martin ha una storia di dolore che ha trasformato in un incredibile, irresistibile,
coloratissimo carnevale: in fondo, persino all'inferno le maschere giocose sono consentite.
Martin è una bambina su un'altalena; è un bambino sulla giostra.
Martin ha radici aggrovigliate: nei suoi voli snoda tutte le matasse
per farci degli arcobaleni.
Le sue mani sono opere d'arte: i suoi pupazzi,
probabilmente, i suoi veri compagni di ventura.
Lo sguardo del mio regista su Martin è variopinto e carezzevole:
Martin certamente è sintesi di quella tempesta di un mare del sud
che non è certo gentile; Ricky mostra di farsi vento d'estate, che
dà sollievo e porta via la sabbia dalla dignità, strappata troppo
spesso all'uomo dal suo simile.
Ti ringrazio profondamente per questo film, Riccardo.
A volte, mi sento immeritevole della bellezza che sai dare; altre volte,
mi vergogno per tutti quelli che, ahiloro, non sono in grado di cogliere
l'ostensorio di bellezza che tu sei. Questo è un film quaresimale:
mi denuda e mi porta nel deserto delle mie manchevolezze,
mi rappacifica con le mie inadeguatezze e mi consente di appendermele
al collo non più come un cappio, piuttosto come un gioiello, perché la vita,
in verità, è una stagione irriverente
alla quale non dobbiamo sottrarci mai, come fanno le bambole,
che stanno bene pure nella spazzatura.
1 commento:
Succhiami una palla Medea!
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