Incontro Silvio al bar, fa colazione con un bicchierino di cognac,
ha due grandi occhi azzurri velati da una tristezza buona, dolce.
Dice che il cognac è il suo antinfluenzale. Ci parliamo poco e
ci salutiamo molto, intuisco che ha una storia da raccontare ma
che non ha voglia di parlarne. Però l'altra mattina si è aperto.
Silvio ha 63 anni, è alto e magro, quando cammina si vede che
pensa, pensa sempre a qualcosa, ieri ho capito a che cosa.
Mi ha detto che ha vissuto a Singapore, a Manila, a Taipei, a
Hong Kong, in Brasile, in Corea, si spostava per lavoro.
Lavorava per Facchinetti, quello dei Pooh, ci sono cantanti
che hanno il pallino di fare soldi con il commercio. Poi deve
essere andato storto qualcosa e la sua vita è cambiata del
tutto. Ora si aggira per il quartiere come un fantasma. A un
certo punto mi ha detto: "Vuoi vedere le mie donne?". Dalla
tasca della giacca ha tirato fuori un mazzo di polaroid, lui
era bello, giovane, sembrava David Hemmings, quello di
Blow up e di Profondo rosso, e le polaroid lo coglievano
sul divano, con una sigaretta in mano, e attorniato da donne
orientali, una più bella dell'altra, tutte in mutandine, con
dei corpi minuti e perfetti. "Questa era un'attrice" mi dice
indicando una donna nuda davanti a una finestra lucente.
Tutto il suo passato in una tasca sdrucita. Tutti i suoi amori
in una tasca sdrucita. Ora è solo, vive con la madre, e
fa colazione con un cognac al mattino. Ci siamo salutati
con la promessa di farci un aperitivo assieme. Ho messo
le mani nelle mie tasche e non ho trovato nulla, solo una
caramella alla menta che si è sciolta subito nella bocca.
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