Mio padre si chiamava Aldo. Era grande. Pesava 160 chili quando era in forma.
Ma non era grande per questo, era grande perché era generoso.
Nato al Cairo da mamma calabrese e padre campano si portava dentro il mistero
della Sfinge. Andava in vacanza a Firenze e a Firenze si innamorò di una
certa Milena Vitali, mia madre. Non fece fatica, mamma era miss Incanto.
Mio padre non amava le paroline affettuose, forse non mi ha mai detto: ti voglio bene.
Diceva sempre: contano i fatti. E i fatti erano questi: la notte entrava nella nostra
stanza, mia e di mio fratello, per assicurarsi che i caloriferi fossero accesi.
Anche questo è un modo per dire: vi voglio bene. Mio padre mi ha insegnato a
non essere fanatico, e a vedere la vita con stupito disincanto . Un pomeriggio d'estate
mi stavo sciogliendo in lacrime perché Laura mi aveva lasciato, e lui mi disse:
"smettila, un Farina non dove piangere per una donna". Non ci avevo pensato.
Le lacrime si asciugarono subito. Il giorno più bello della mia vita è stato il giorno
della sua morte perché il suo immenso cadavere non è riuscito a convincermi.
No, non mi ha convinto della sua morte. Ho capito quel giorno che la morte
non ci toglie l'amore, non può farlo. Ed è nell'amore che io vivo mio padre.
Mio padre: Aldo Farina.
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