mercoledì 23 ottobre 2013

L'UOMO COL CAPPELLO

C'era una volta un uomo col cappello, non era cattivo ma aveva
gli occhi rivolti dentro, scrutava i suoi abissi e i suoi abissi gli
divoravano l'anima, fauci senza pietà, e l'uomo soffriva, si perdeva
in se stesso, e forse godeva di questo perdersi. Iniziò a filmare
il proprio volto, ogni sfumatura del suo essere, senza pietà, senza
finzioni, lo faceva per curarsi, per oggettivare i propri tormenti.
Iniziò anche a scrivere i suoi pensieri su internet: blog, social
network, e cose consimili. Voleva esprimere se stesso, voleva
essere semplicemente un uomo, un uomo nudo, senza alcuna
maschera da indossare. Non voleva mentire. Cercava la verità.
La sua verità. Paradossalmente diventò un personaggio, quando
uno si esprime secerne sempre un palcoscenico, volente o
nolente. E l'uomo col cappello diventò un attore. Recitava la
sua vita. C'era chi applaudiva, chi fischiava, chi gli urlava
"facce ride", chi gli tirava pomodori, chi fiori appassiti.
Una sera una maga calabrese incontrò il suo mostro, vide
un suo film e si innamorò del dolore di quell'uomo solo.
L'uomo col cappello quando si esibiva guardava negli occhi
la sua maga, e lei lo ripagava con un sorriso celeste.
A lui bastava questo, a lui bastavano gli occhi della maga.
Entrambi sapevano che il mondo non è una fiaba da
raccontare al viso di un bambino che si addormenta, ma
sapevano anche che il desiderio di esprimere se stessi
è cosa buona, giusta e terribile. Anche senza ritegno.
E senza vergogna. Un giorno l'uomo col cappello morì,
come capita a tutti gli uomini vivi. E dietro di sè lasciò una
scia di desideri. La maga li raccolse tutti, uno a uno, e continuò
a sorridere. Ogni dolore, stanco di se stesso, ridiventa sorriso.
E questo la maga lo ha sempre saputo.

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