giovedì 11 luglio 2013

L'UOMO D'ACCIAIO (critica di Roberto Farina)


L'UOMO D'ACCIAIO

Un’esperienza anale fortissima.
Buchi neri. Strane trivelle. Uomini d’acciaio coi controcosi. Cazzotti, botte, cazzotti e calcioni, ma soprattutto: chiasso.
Il regista e il produttore puntano sulla fobia di fine millennio: l’America sotto attacco. Di torri che crollano ce ne sono infatti a centinaia, ma dell’11 settembre c’è solo la polvere.
Pessimo. Tra i film tratti dai comics, forse solo Daredevil può essergli paragonato, ma almeno non era così chiassoso.
Che dire? Regia: boh. Sceneggiatura: ah ah! Attori: sgrunt. Questi ultimi, per la rabbia di averli visti in quei ruoli, non vogliamo nemmeno nominarli. Torna alla mente il Mephisto di Klaus Mann, dove il protagonista, un comunista diventato l’attore prediletto dei gerarchi nazisti, si difende dall’accusa di collaborazionismo gridando: “Perché ce l’avete con me? Che potevo fare, io? Sono solo un attore!”. Ecco, questo diranno gli interpreti di questo film, quando davanti alle porte del paradiso John Cassavetes gli chiederà conto della loro sssconfinata stronzaggine, da loro gabellata per professionalità.
Quello che fa la parte del papà kryptoniano sembra non capire un’acca di ciò che dice. “Signori del Gran Consiglio di Kripton! Il tempo stringe! Avete sfruttato il nucleo del nostro sole fino a toccare il limite di maxifusione centrifuga, senza prevedere il dissolvimento incrociato dei fantaprotoni e quindi… e quindi… Insomma qui salta tuttoooo!”.
Quello che fa la parte del papà terrestre muore sacrificandosi, in ultima analisi, per salvare un cane da un tornado. Nel farlo, si storce una caviglia, moccola qualcosa, si ricompone, tira un sospirone e crepa come Obi-Wan Kenobi in Guerre Stellari (scena di una comicità involontaria senza precedenti).
Quella che fa Lois Lane è un’ottima attrice, ma per l’occasione diventa una pessima attrice. “Scusa,” chiede all’uomo d’acciaio in una scena di rara surrealtà, “che significa quella S che hai sul petto?”.
Quello che fa il direttore del Daily Planet sembra un celiaco allergico al pesce, che s’è appena mangiato un branzino in crosta.
Quello che fa Superman ha sempre l’espressione Magnum di Ben Stiller in Zoolander, ma non fa ridere.
Quello che fa il cattivo ha la faccia da vigile urbano incazzato. Quindi è, invero, terrorizzante. Ma il suo personaggio sembra imbattibile e invece dall’inizio alla fine prende gli schiaffoni come Bombolo.
Dopo centoventi minuti di supercazzotti l'unico brivido che cola lungo la schiena dello spettatore è quando, artigliando i braccioli della poltroncina, si chiede: “E se non finisse più?”.
In questo film non c’è un briciolo di ironia: qui sta la tragedia.
Eppure, la logica c’insegna che non esiste lo schifo assoluto, come non esiste il male assoluto. Qualcosa si deve pur salvare. Ad esempio la scena in cui Clark scolaretto si rinchiude terrorizzato in uno stanzino, dopo che improvvisamente i suoi poteri gli hanno svelato il teschio ghignante dei compagni e della maestra (inconvenienti dei raggi X). Il piccolo riesce a controllare il terrore solo quando la madre, attraverso la porta chiusa, gli sussurra: “Clark, per vincere la paura devi concentrarti. Concentrati su qualche cosa. Concentrati su di me, amore”.
Non è male neanche la prima dimostrazione di forza di Clark adulto, quando fa il suo ingresso su una piattaforma petrolifera con il petto avvolto da fiamme serpeggianti.
Insomma, come disse il bambino di buona volontà: “Ci sarà pure un giocattolo, sotto questo mare di merda!”. E se qualcuno di voi, magari per curiosità, magari per affetto verso il superbeniamino della sua infanzia, avesse intenzione di scavare nell’Uomo d’acciaio, non ci resta che augurargli buona caccia. Ma che almeno si procuri buone calosce, perdio.

Roberto Farina
Tutte le critiche di mio fratello le trovate sul Romoletto, rivista online diretta da Oscar Glioti. 

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