Un conto alla rovescia mi ossessiona, mi rovescia. L'angoscia
pura di essere un cuore che pulsa contro il cielo stellato.
Una improvvisazione jazz per i miei labirinti, per le mie feroci
stanchezze. E il velluto di un grido lanciato oltre la palizzata
delle illusioni. Svanire, svenire. E poi ritrovarsi con un nodo
di fiume fra le mani, e un guizzo di vetta negli occhi. Partire
stando fermi. Con un fuso orario millimetrico fare le smorfie
alla morte. Concepire solitudini come si concepiscono figli,
creature, vampate organiche nel deserto specchiato dei sogni.
Avere ancora da qualche parte, nel tormento delle vene,
la voglia di amare, di riplasmare l'incanto di una carezza.
Senza paura, senza fuggire, perché anche l'addio è amore.
1 commento:
Walking Around
Succede che mi stanco di essere uomo.
Succede che entro nelle sartorie e nei cinema
smorto, impenetrabile, come un cigno di feltro
che naviga in un’acqua di origine e di cenere.
L’odore dei parrucchieri mi fa piangere e stridere.
Voglio solo un riposo di ciottoli o di lana,
non voglio più vedere stabilimenti e giardini,
mercanzie, occhiali e ascensori.
Succede che mi stanco dei miei piedi e delle mie unghie
e dei miei capelli e della mia ombra.
Succede che mi stanco di essere uomo.
Dopo tutto sarebbe delizioso
spaventare un notaio con un gladiolo mozzo
O dar morte a una monaca con un colpo d’orecchio.
Sarebbe bello
andare per le vie con un coltello verde
e gettar grida fino a morir di freddo.
Non voglio essere più radice nelle tenebre,
barcollante, con brividi di sonno, proteso
all’ingiù, nelle fradicie argille della terra
assorbendo e pensando, mangiando tutti i giorni.
Non voglio per me tante disgrazie.
Non voglio essere più radice e tomba,
Sotterraneo deserto, stiva di morti,
intirizzito, morente di pena.
E per ciò il lunedì brucia come il petrolio
quando mi vede giungere con viso da recluso
e urla nel suo scorrere come ruota ferita
e fa passi di sangue caldo verso la notte.
E mi spinge in certi angoli, in certe case umide,
in ospedali dove le ossa escono dalla finestra,
in certe calzolerie che puzzano d’aceto,
in strade spaventose come crepe.
Vi sono uccelli color zolfo e orribili intestini
appesi alle porte delle case che odio,
vi sono dentiere dimenticate in una caffetteria,
vi sono specchi
che avrebbero dovuto piangere di vergogna e spavento,
vi sono ombrelli dappertutto e veleni e ombelichi.
Io passeggio con calma, con occhi, con scarpe,
con furia, con oblio
passo attraverso uffici e negozi ortopedici
e cortili con panni tesi a un filo metallico:
mutande,asciugamani e camicie che piangono
lente lacrime sporche.
(Pablo Neruda)
alla tua anima, Ricky, con l'amicizia che sai
.attimi
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[.. ho fatto delle correzioni ai periodi e alla punteggiatura confrontando il testo precedente pescato in internet con la traduzione di un volume in mio possesso ..]
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