Che profonda, implacabile tenerezza susciti in me,
vecchio, curvo esibizionista della porta accanto.
Vedovo di una giovinezza morta per sempre, con
le gambe secche e malferme, le mani nodose e
tremanti, ti vedo uscire di casa col tuo sgualcito
impermeabile da pensionato, la carne nuda sotto,
e il gelido inverno che ti percuote a ogni passo.
Ti seguo, quasi una sacra venerazione mi spinge
a non perdermi nemmeno uno dei tuoi gesti.
Cerco di immaginarti bambino, con i candidi
testicoli, la tenue peluria puberale, e quella fresca
innocenza ormai trafitta dal pugnale del tempo.
E sento il sapore amaro di quella lacrima che
è sempre sul punto di bagnare le tue visioni.
Come un fantasma ondeggi davanti alle scuole
pubbliche, ti siedi su panchine sverniciate nei
parchi cittadini, custodisci come un tesoro la tua
sorpresa che penzola fra le gambe, e in un ultimo
pericolante sussulto di recondita virilità, quando
un dolce viso di bimba ti sfiora, riesci a mostrare
le tue vergogne traballanti, e ti guizza un sorriso
sul volto.
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