domenica 27 maggio 2012

A PROPOSITO DI RICKY FARINA

Di Francesca Aurelio ( in arte Medea Merini )


    • Ci sono aspetti della vita di un uomo che l'arte solo in parte riesce a riflettere. Poi c'è l'arte che è sangue e respiro. Che è tutt'uno con il sonno e con le centrifughe della lavatrice. Allora l'arte è a volte compagna accondiscendente e leggera, a volte violenza di coltelli che non lasciano spazio al perdono. Ricky Farina gioca a palla con tutto ciò che esiste. Guarda con occhi attenti alla distrazione e ruba alle foglie verdi i loro raggi di sole. Ho sempre pensato che i poeti dovessero restare per me esseri umani da toccare soltanto nelle parole impresse sulla carta che sa di colla o di antico. Non ho mai incontrato i poeti che amo. Non ho mai avuto la foga dei pellegrinaggi per toccare sacerdoti e sacerdotesse della parola o delle immagini. Non ho mai neanche avuto poster in camera che raffigurassero un cantante o un attore. Sono per le passioni discrete che possono generare turbini di emozioni alla luce di una lampada notturna mentre leggo o guardo un film. Fruitrice passiva forse. Priva di entusiasmo per alcuni. Non ho la vocazione della groupie. Riccardo è l'eccezione. Anche in questo senso. Mi sono lasciata a lungo sedurre dalle sue immagini. E dalle sue parole. Guardavo, in silenzio, come di nascosto tutti i suoi film. Quelli "veri" e i "video-logorroico-mestruali" che postava nel suo blog. Poi gli scrissi. Complimentandomi per il ritratto ad Alda Merini. Con mia somma meraviglia mi rispose. Ringraziandomi. Non c'è stato film o scritto che non abbia destato la mia attenzione per un particolare, per un colore, per una giostra, per una iunctura, per un tuono o per un orologio. Non c'è stata che corrispondenza d'anima da autore a fruitore. Una sorta di miracolo artistico che ha unito due esseri umani agli antipodi tra loro. L'urgenza di comunicare dell'uno, l'incomunicabilità dell'altra. Gli occhi nascosti da lenti scure dell'uno, gli occhi di vetro dell'altra. Ma questo poco importa. Perchè quel che mi porta a scrivere qui e adesso è un pensiero di Riccardo Farina letto qualche giorno fa: "Per esempio, tutti i miei lavori, sono ben consapevole che non sono "cinema", anche se scrivo sempre "un film di ricky farina", sono film che finiscono su YouTube, sono altro rispetto al cinema, hanno una loro dignità solo perché sono fatti con amore, e perché hanno uno stile, ma sono film internettiani, film che si possono uccidere con un semplice clic. Al cinema invece devi alzarti dalla poltrona, scavalcare gambe, c'è una costrizione della visione che è fondamentale per l'esperienza estetica. Detto questo senza YouTube non ci sarebbero, è comunque uno "spazio" personale, e aggiungo: fin troppo personale".
      Ineccepibile. Mostra un'umiltà che a molti manca. Al tempo stesso mi ha dato da pensare: "film internettiani", che "hanno una loro dignità solo perchè sono fatti con amore". E' il -SOLO- che stride. E' quell'avverbio, l'ho capito solo dopo diverse ore, che mi suona come il trillo del diavolo. I film di Farina sono stati ogni mia suggestione per lungo tempo. Amo il cinema, pur non essendo un'esperta di cinema. Conoscevo qualche film di Truffaut, li ho rivisti dopo aver ascoltato le lezioni di Farina; ne ho conosciuti altri che non conoscevo e ho notato quello che mai avrei potuto se non avessi visto i film di Farina. Ho imparato. Dai film internettiani e ho amato i film internettiani. Ne ho fatto suggestioni trovate nella mia quotidianità. Un'operazione che ha reso come sacro ciò che neppure i miei occhi vedevano nè avrebbero visto. A Farina devo la ruggine e devo alcuni colori. A Farina devo la parola "abisso" e a lui ho voluto come regalare-chissà se mai ci riuscirò-la parola "viscere". A Farina devo un risveglio in cui il silenzio non è mai inopportuno. A Farina devo la normalità della mia alienazione. A Farina devo le cose che non avevo visto mai e che ho trovato nei suoi lavori. E' un canale su Youtube: sembra una blasfemia, un infernale arma di distruzione di massa. Eppure è il luogo delle mie incontrovertibili maree. E' il luogo in cui tutto è possibile. E' lo spazio senza orologi: lì ho rotto l'ultimo sopravvissuto. E' l'albergo delle mie disperazioni e dei fuochi sacri ove brucio i miei rifiuti. E' il luogo ove s'annulla il disadattamento e sopraggiunge la normalità. Che è mia. Che è possibile. Il cinema doveva essere sogno. Doveva essere sintesi di quello che è vero e che è incantamento. Il cinema per me resta Amarcord e resta Otto e mezzo: Amarcord ed Otto e mezzo sono in tutti i film di Ricky Farina. E nessuno, nemmeno Farina, si azzardi ad usare avverbi inappropriati.
  • pochi secondi fa

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